Economia, esiste una malattia che ci coinvolge tutti
Dopo la semplicità di Mork & Mindy (che vi ricordo essere una rubrica volutamente didattica) riprendiamo il tema giapponese approfondendolo tramite questo bellissimo articolo tratto da Phastidio.
Bellissimo perché è molto chiaro pur trattando argomenti complessi e spero che vi farà apprezzare come comunque le scelte delle banche centrali in realtà non vadano mai al punto e cerchino piuttosto di spostare nel tempo il problema alimentando gigantesche bolle. (Ieri Mindy concludeva: Riporto cosa ho letteralmente trovato in alcuni report di analisi finanziaria che volevano giustificare l’attuale ottimismo dei mercati finanziari: “the party is on, in the long period we are all dead”. Capito, no? Che la festa prosegua, tanto (quando ci sarà la resa dei conti) nel lungo periodo siamo tutti morti. Non ci farei la firma su questo lungo periodo.)
Circa il nostro paese gli eventuali parallelismi mi paiono evidenti, specie se non sapremo intelligentemente utilizzare l’unica voce di crescita demografica che è a nostra disposizione e cioè gli extracomunitari.
Purtroppo questo tema è stato negli anni spesso affrontato in maniera miope e populista non comprendendo i potenziali vantaggi.
La situazione dei conti dell’INPS, in questo momento non al centro dell’opinione pubblica, torneranno probabilmente protagonisti in autunno, tenuto anche conto delle gravi ripercussioni determinate dalla profonda crisi occupazionale e dell’assenza di misure dedicate alla crescita.
Da sempre sono convinto che il paese possegga le risorse per cavarsela da solo, ma stante l’attuale classe dirigente e politica e le iniziative che ne hanno contraddistinto l’operato permane possibile che di vada incontro a nuovi scenari molto difficili per il nostro debito pubblico e per il valore dei nostri titoli di stato.
Come avrete notato del nostro Fiscal Compact non parla più nessuno ….. eppure è sempre lì, con PIL in calo costante e debito pubblico in aumento …. Ma per chi volesse rinfrescarsi la memoria ricordo il lavoro di Barbara di inizio anno: http://www.youtube.com/watch?v=9aZr2RYviJ4 : è sempre di una attualità straordinaria.
Introduzione a cura di Gian Luca Bocchi
La malattia giapponese si chiama invecchiamento
Corre l’obbligo di segnalare l’ennesimo saggio - http://fistfulofeuros.net/afoe/the-a-b-e-of-economics/ - (chiamarli post sarebbe riduttivo al limite dell’insulto) di Edward Hugh sul Giappone ed il suo male più o meno oscuro, ormai entrato nel terzo decennio. Perché è importante essere consapevoli che la dimensione demografica di una economia è decisiva anche ai fini della prognosi. Un elemento troppo spesso ignorato, soprattutto da noi italiani, che abbiamo nella demografia un elemento che ci gioca pesantemente contro.
Della deflazione, cioè della tendenza alla riduzione dei prezzi (e non del rallentamento della loro tendenza alla crescita, che si chiama invece disinflazione), sappiamo che può essere un autentico veleno per l’economia nella misura in cui induce continuamente a posporre decisioni di consumo, nell’attesa di minori prezzi futuri. Questo fenomeno tende a divenire destabilizzante in economie caratterizzate da costante incremento di produttività, che a sua volta produce un eccesso di offerta che perpetua il calo dei prezzi. Ma soprattutto, mentre i prezzi cedono, il valore nominale del debito accumulato resta invariato, cioè il suo onere reale si innalza, portandolo su una traiettoria di insostenibilità che viene aggravata da eventuali misure di stimolo fiscale aggiuntivo che non producano come esito un Pil nominale in crescita.
E quindi, si dirà, la cosiddetta Abenomics è qualcosa di rivoluzionario, in grado di spezzare il circolo vizioso della deflazione che autoalimenta il debito? La risposta di Hugh è negativa, per un preciso motivo: la deflazione giapponese non deriva da semplice rinvio delle decisioni di consumo, ma da qualcosa d’altro, strutturale e profondo. E, per Hugh, questo qualcosa è l’invecchiamento della popolazione, ed il conseguente restringimento della base di popolazione attiva:
«Il Pil per lavoratore giapponese potrà pure continuare a crescere in modo soddisfacente, ma se la popolazione attiva si restringe all’avanzare del Ventunesimo secolo, il Pil totale ad un certo punto comincerà a diminuire. Se, in aggiunta a ciò, i prezzi continuano a calare, il rapporto tra debito pubblico e Pil inizierà a crescere quasi asintoticamente, anche senza ulteriore indebitamento pubblico»
Questo punto è fondamentale, perché riproduce la nota (non a tutti) dinamica di autoalimentazione del rapporto debito-Pil ma non su basi “creditizie”, cioè di rischio di credito applicato ad un debito sovrano, ma su basi demografiche. All’aumentare dell’età media di una popolazione, il tasso di risparmio delle famiglie si riduce, e questo sta accadendo in Giappone da alcuni anni. Chi contribuisce in misura crescente al tasso di risparmio nazionale nipponico sono le imprese, che non hanno opportunità di investimento proprio a causa della debolezza della domanda domestica, resa tale da elementi demografici. Il punto critico, quindi, è che le famiglie giapponesi non spendono il proprio risparmio in misura sufficiente ad indurre uno stimolo agli investimenti, e neppure desiderano indebitarsi.
Come uscirne, quindi? L’idea “keynesiana” tradizionale (applicata quindi a condizioni di trappola della liquidità) è quella di indurre aspettative inflazionistiche tali da rendere negativo il tasso d’interesse reale, rendere quindi molto conveniente l’indebitamento e, per questa via, spingere la domanda aggregata e riavviare l’investimento. Un altro modo per gestire il problema, tipicamente difensivo, è quello di fare crescere il Pil nominale agendo sull’inflazione, in modo da avere un Pil nominale che cresca più del costo medio del debito. Esistono due tipi di inflazione: quella da domanda, che palesemente non può darsi in una realtà come quella giapponese per i motivi detti sopra, e quella da costi, prodotta ad esempio da aumenti delle imposte indirette e dalla svalutazione del cambio, che spinge i prezzi all’importazione e si incorpora nei prodotti finiti. Il problema, in quest’ultimo caso, è che, al venir meno della “perturbazione” che l’ha causata (indebolimento del cambio ed aumento imposte indirette), l’inflazione semplicemente esce dal sistema, e si torna allo status quo ante. In altri termini, per tenere viva un’inflazione da costi, servirebbe o aumentare continuamente le imposte indirette oppure deprezzare senza sosta il cambio. Irrealistico, anche per le menti più fantasiose e non convenzionali.
Quindi, per sintetizzare il pensiero di Edward Hugh: il Giappone non è in una condizione di “semplice” trappola della liquidità di matrice keynesiana, conseguente allo scoppio di una bolla ed al processo di riparazione dello stato patrimoniale di famiglie ed imprese. Il Giappone è in una trappola demografica da restringimento della popolazione, e di conseguenza né la politica monetaria né quella fiscale riusciranno a risolvere il problema. In un contesto così pervicacemente deflazionistico, ogni stimolo fiscale tradizionale non farà altro che sommarsi al debito, portandolo su traiettorie insostenibili, allo stesso modo in cui ogni stretta fiscale necessaria a riportare i conti pubblici in ordine produrrà nuove pressioni deflazionistiche, conducendo allo stesso esito di insostenibilità del rapporto debito-Pil, come del resto già accaduto in occasione della stretta fiscale giapponese del 1997, avvenuta dal lato delle imposte indirette. Inoltre, ogni azione della banca centrale per deprezzare lo yen ed importare inflazione tenderà a risolversi in una disallocazione di capitale su scala planetaria, cioè ad una bolla, seguita dal dissesto delle banche giapponesi.
Come entra il nostro paese in simili considerazioni? Attraverso la variabile demografica, che ci rende molto simili al Giappone. Per questo, secondo Hugh, anche ipotizzando che la Bce “diventi giapponese” e stampi furiosamente denaro, in Eurozona vi saranno forti limiti alla propagazione di un simile impulso espansivo a causa della struttura demografica dei paesi coinvolti. E l’Italia, sotto questo aspetto, è paese più giapponese del Giappone.
Articolo tratto da Phastidio.net