ECCEZIONALISMO EUROPEO?

ECCEZIONALISMO EUROPEO?
Laurent Denize, Global Co-CIO ODDO BHF AM

Milano, 19 dicembre 2024. A cura di Laurent Denize, Global Co-CIO ODDO BHF AM.

Le divergenze tra Usa ed Europa dovrebbero continuare a caratterizzare la narrativa anche nel 2025 e in particolare la tendenza che sembra perdurare negli ultimi trimestri e a cui gli investitori non dovrebbero opporsi: l’eccezionalismo americano.

In termini di performance assoluta, a fine novembre l’S&P 500 registrava la sua sessantesima chiusura da record quest’anno.

La performance relativa delle azioni statunitensi è ancora più impressionante.

A esclusione del 2017, l’azionario Usa ha sovraperformato le azioni globali ogni anno dal 2009 e oggi rappresentano quasi il 70% degli indici globali.

Nell’ultimo decennio, l’MSCI Europe ha sottoperformato l’S&P 500 del 7,7%.

Anche gli utili europei hanno sottoperformato per quasi 15 anni.

Mentre si avvicina il 2025, un’ampia maggioranza di investitori ed esperti è convinta che l’incredibile dominio Usa continuerà.

Pur essendo difficile ribattere a quest’ottimismo, vale la pena osservare che cosa potrebbe disturbare l’eccezionalismo americano… e riportare in auge l’Europa.

E se il 2025 segnasse l’inizio dell’eccezionalismo europeo?

Come si spiega la sottoperformance europea?

I mercati europei hanno sottoperformato gli Usa per oltre dieci anni, a riprova di difficoltà strutturali quali una scarsa produttività, un mercato frammentato e l’eccessiva dipendenza da finanziamenti bancari.

La Germania, storicamente l’economia leader del vecchio continente, oggi subisce pressioni dovute alle crisi energetiche, alla concorrenza cinese e all’inerzia politica.

Cerchiamo di riassumere i principali problemi odierni:

  1. Ritardi di produttività: in Europa si investe meno in ricerca e sviluppo, a discapito di innovazione e crescita.
  2. Mercati frammentati: le incongruenze normative ostacolano le economie di scala e scoraggiano gli investimenti.
  3. Energia e concorrenza: gli elevati costi dell’energia e la concorrenza della Cina pesano pesantemente su settori come chimica e veicoli elettrici.

In realtà, l’Europa accumula ritardo da oltre 15 anni.

Le misure di austerity applicate dalla crisi finanziaria globale in poi hanno ostacolato la crescita economica, con conseguente cali nella domanda, investimenti limitati e un contesto deflazionistico.

Al contrario, la politica fiscale più aggressiva degli Stati Uniti ha alimentato la crescita, ampliando il divario tra le due aree geografiche.

Che cosa potrebbe rendere l’Europa nuovamente grande?

L’incertezza dovrebbe restare elevata nel 2025, anche se l’Europa ha già scontato il peggio e le previsioni di stimolo economico ai minimi lasciano spazio a sorprese positive. Vediamo alcuni “rischi” di rialzo in fondo al tunnel:

  • Barlumi di speranza macroeconomici: l’outlook sul reddito disponibile reale delle famiglie rimane positivo e dovrebbe supportare un aumento dei consumi. I consumatori inoltre hanno più risparmi e con l’aumento della fiducia potrebbero attingere ai risparmi e aumentare le proprie spese. Le condizioni del credito e i sondaggi sui prestiti bancari segnano un netto miglioramento. Il mercato del lavoro resiste e anche le sorprese economiche sono recentemente tornate positive.
  • Politica monetaria accomodante, disinflazione e un euro in flessione: Il ritmo dell’allentamento potrebbe essere più rapido del previsto, dato che si prevede che l’inflazione mancherà l’obiettivo della Bce. Ulteriori tagli della stessa Bce dovrebbero portare a un indebolimento della moneta unica, dando un vantaggio relativo agli Eps europei.
  • Esagerazione del rischio tariffario: Difficilmente i dazi avranno un impatto significativamente negativo sulle stime di utili aggregati. Stimiamo che solo il 6% dei ricavi delle società europee (circa il 4% se escludiamo la difesa) sia generato da beni esportati negli Usa. L’impatto è sopravvalutato dai mercati.
  • Basse aspettative sulla crescita degli utili per azione (Eps): Prevediamo una crescita del 3/4% degli utili per azione per 2025 e 2026. Riteniamo che il più importante fattore determinante per i ritorni azionari nel 2025 dipenda dal fatto che la crescita degli utili rimanga positiva. Noi pensiamo di sì, e un euro debole, non ancora scontato nel consenso sell-side, dovrebbe aiutare.
  • Valutazioni depresse: le azioni europee appaiono molto interessanti. L’Europa scambia a uno sconto di >10% rispetto alla media di lungo periodo. Un fattore trainante chiave dell’espansione dei multipli sono i tassi d’interesse. Rendimenti inferiori tendono a supportare l’espansione dei multipli e poiché restiamo in un ciclo di tagli anche nel 2025, pensiamo che ciò possa essere favorevole a una simile espansione. L’Europa scambia anche a uno sconto considerevole rispetto agli Usa e questo vale anche su base corretta per settore. Lo sconto è storicamente ampio in tutti i settori.
  • Posizionamento: gli investitori retail e long-only sono lunghi sulle azioni, ma il consenso in Europa è chiaramente pessimista. I flussi in entrata sulle azioni Usa da inizio anno ammontano a 388 mld, contro i 49 mld di dollari sull’Europa. La recente sottoperformance del vecchio continente sembra esagerata le riserve di liquidità rimaste nei fondi del mercato monetario devono essere “rimesse frutto”. L’Europa sarà sotto il radar degli investitori globali.
  • Espansione fiscale in Germania: La Germania ha il vantaggio di un po’ di margine fiscale. Se il nuovo governo avrà un orientamento pro-crescita e riuscirà a farsi strada oltre il freno del debito fiscale, potrebbe stimolare l’investimento pubblico e privato. Un simile scenario potrebbe rappresentare uno slancio per i titoli domestici tedeschi e portare a un re-rating.
  • Stimolo cinese: un massiccio stimolo in Cina potrebbe essere uno dei fattori a sostegno delle società europee (soprattutto in Francia e in Germania) con esposizione cinese.
  • Cessate il fuoco in Ucraina: un potenziale cessate il fuoco tra Ucraina e Russia potrebbe allentare la pressione sui prezzi dell’energia e ridurre i premi di rischio, generando un potenziale effetto positivo per gli asset europei.

Opinioni e posizionamento di mercato

Azioni: Consigliamo una leggera preferenza per i difensivi rispetto ai ciclici, motivata da un lieve rallentamento nella crescita globale e da rendimenti inferiori delle obbligazioni nei prossimi mesi.

Alcune delle opportunità che vediamo in Europa sono mel settore aerospaziale (la domanda supera di gran lunga l’offerta), nei beni capitali (l’emergente tema dell’elettrificazione), nell’immobiliare (esposizione a rendimenti più bassi), nel pharma (rischi normativi esagerati, poco indebitamento, solidi flussi di cassa e valutazioni interessanti) e nel software (fattori trainanti allettanti per il lungo termine grazie alla digitalizzazione e all’Intelligenza Artificiale, la parte più difensiva del settore tecnologico).

Anche le piccole e medie capitalizzazioni restano un’area di sovraperformance selettiva, soprattutto negli Usa.

Molti dei titoli a piccola e media capitalizzazione restano sottovalutati e rappresentano un’area con significativa possibilità di rialzo dal punto di vista di guadagni e valutazioni. Il rovescio della medaglia è una posizione ancora cauta sui semiconduttori (a causa di un contesto di mercato complesso, della normalizzazione della domanda in Cina e della digestione delle recenti aggiunte di capacità), sull’energia (alto rischio di revisione degli utili per azione), sull’automotive (offerta in eccesso, competitività, pressione sui prezzi, poca chiarezza sui guadagni) e sui finanziari.

Tassi: Vediamo un range di trading per buona parte del 2025 con una propensione all’acquisto di duration durante le fasi di sell-off. L’Europa è un luogo più favorevole per avere una duration lunga, dato che il rendimento del decennale statunitense ha appena subito una flessione. Scorgiamo una ripresa nei premi a scadenza sia in Europa sia negli Stati Uniti. In Europa preferiamo i periferici e crediamo che sia troppo presto per un riposizionamento sulla Francia.

Credito: nel 2025 restiamo genericamente positivi sul credito che, agli attuali livelli tirati, dovrebbe rimanere una storia di rendimento totale piuttosto che una storia legata allo spread. Preferiamo l’Europa agli Usa, sia nell’investment grade sia nell’high yield e manteniamo una solida convinzione sulle duration brevi.

Cambi: il dollaro statunitense è sulla buona strada per chiudere il 2024 in bellezza dopo un anno di narrative in evoluzione costante. Ci aspettiamo che il dollaro resti forte ancora per un certo tempo, nel range 1,00/1,05.

Eccezionalismo americano e “tatticalismo” europeo

L’eccezionalismo americano resta la parola d’ordine per i mesi a venire e ci aspettiamo che le azioni Usa confermino un generalizzato andamento al rialzo.

Non sarà tuttavia un contesto a buon mercato. Dall’altra parte, prevediamo un moderato calo per gli attivi europei, poiché valutazioni più convenienti, minori aspettative per la crescita degli utili per azione, posizionamenti depressi, un euro più debole, la pace in Ucraina e una situazione in cui la peggiore delle ipotesi è già stata scontata potrebbero migliorare l’asimmetria per l’Europa, una volta digeriti i dazi e i melodrammi domestici (Francia, Germania, e così via.).

La sorpresa sta nell’eventualità che le elezioni in Germania nel primo trimestre offrano un potenziale di rilassamento della regola del debito.

In parole povere, l’Europa potrebbe continuare a trovarsi di fronte a sfide significative nei prossimi mesi (trimestri?), ma è anche in grado di offrire potenziale per gli investitori.

Le riforme strutturali, la flessibilità fiscale e l’innovazione potrebbero sbloccare una crescita di lungo termine, riducendo così il divario economico con gli Stati Uniti.

Per questo motivo l’Europa non può più essere ignorata.

Le feste di fine anno sono l’occasione perfetta per riflettere un riposizionamento, almeno tattico sull’Europa (grazie alla leadership ecologica, alla difesa, alla Germania, alle mid-cap, al credito di breve scadenza, ecc.).

Non si tratta quindi di scommettere su un “eccezionalismo” europeo, che impiegherebbe del tempo a concretizzarsi, ma piuttosto di pensare al “tatticalismo” europeo, che consiste nell’iniziare a chiudere un sottopeso sull’Europa, o ad aprire una posizione.