DIRITTI E DOVERI. IL "DIRITTO ALL'ELEGANZA".
Torino, 19 dicembre 2022. Di Chiara Zarcone Avvocato del foro di Torino, giurista, già Cultore della materia diritto penale presso l’ Università degli studi di Torino.
"Furono prima gli Dèi e poi i Sovrani a imporre agli uomini i loro doveri.
Poi venne l'età dei diritti, che ce ne liberò.
Oggi è di nuovo tempo di doveri.
Ma doveri reciproci, fra uguali.
Per noi stessi, per il nostro futuro." Così recita sula copertina di "Diritti per forza" (Einaudi, collana Vele, 2017) il professor Gustavo Zagrebelsky, maestro Illuminato di diritto Costituzionale.
Traendo spunto da sì mirabile dottrina dovremmo razionalmente dedurre come i doveri, creazione ed imposizione degli Dei, siano nati cronologicamente prima dei diritti e come i diritti siano scaturiti ex post derivando dall'evoluzione dell'uomo e con l'evoluzione dell'uomo siano anch' essi mutati e siano in divenire.
Non possiamo non accorgerci di vivere pienamente in un'era governata da una sorta di "monoteismo dei diritti", compimento di quella ivresse de la liberté che non intende, probabilmente poiché non ne ha memoria, più misurarsi con l’orizzonte dei doveri.
D’altronde non può ignorarsi come il dovere inquieti in quanto chiama l’uomo a dar conto del suo agire in un'epoca nella quale come diceva Umberto Eco "i social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli" i quali apoditticamente non possono non temere la sola idea del dover dar conto.
Oltre ai diritti fondamentali consacrati dalla nostra Carta Costituzionale, si sono fatti largo i diritti cosiddetti di "nuova generazione" o "diritti di terza generazione" ovvero il diritto alla pace, il diritto alla salvaguardia dell'ambiente, il diritto alle necessarie condizioni di sviluppo, il diritto al patrimonio comune dell'umanità, derivati dalla naturale evoluzione storica, economica e sociale dell'uomo.
L'aberrazione dell'evoluzione dei nuovi diritti ha dato vita a diritti di matrice puramente fantascientifica, ex multis, il "diritto all' eleganza".
Non vi è nulla di personale contro l'onorevole Soumahoro, ma sicuramente l'espressione "diritto all'eleganza", sciocca e insieme inquietante, si rivela spunto di interessanti riflessioni.
L'onorevole Soumahoro dava vita al "diritto all'eleganza" rispondendo alle domande di un giornalista a proposito degli abiti e degli accessori griffati indossati dalla moglie ("Il diritto all'eleganza, il diritto alla moda è una libertà.").
Quindi il sillogismo sarebbe questo: la moglie di Soumahoro indossa accessori griffati, gli accessori griffati sono eleganti, la moglie di Soumahoro è elegante.
Tutto questo è certamente una interpretazione distorta della nozione di diritto e di quella di libertà, purtroppo, frutto dello stravolgimento della realtà generato dai social media e dal cosiddetto "monoteismo dei diritti".
Partendo dal sacrosanto presupposto che la libera manifestazione della propria personalità - si noti bene, non il "diritto alla moda" è un diritto Costituzionalmente garantito quindi la signora Soumahoro può vestirsi come crede e lo Stato salvaguarderà - si auspica sempre - questo suo diritto, il problema si pone nel momento in cui viene associato l'abbigliamento firmato all'eleganza e sopratutto si da vita alla diade "diritto all'eleganza".
Ci si deve allora interrogare su cosa sia l'eleganza e su cosa sia una diritto.
L'eleganza è la qualità di una persona che ha insieme grazia e semplicità, e rivela cura e buongusto senza scadere in un'eccessiva ricercatezza (cfr enciclopedia Treccani).
Tale definizione appare ben lungi dal poter essere associata al lusso o alle grandi firme anche perché, se così non fosse, le persone non abbienti non potrebbero essere eleganti.
Ma, per l'appunto, l'eleganza consiste in grazia e semplicità, non nella esternazione sfacciata di ricchezza.
Secondo la definizione dotta di eleganza, qualsiasi cosa può rivelarsi tale: un gesto, un sorriso, un pensiero.
Non può esservi, nel diritto positivo, che è "ius in civitate positum", il diritto ad essere abbigliati con abiti griffati e costosi ma vi deve essere, come vi è, per converso, il diritto Costituzionalmente garantito, alla libera manifestazione della propria personalità - del quale si è detto e che è emanazione della luce generata dalla libertà individuale - ed il diritto vivere un'esistenza libera e dignitosa (art. 36 Costituzione).
La nostra Carta Costituzionale che proprio negli ultimi tempi è tacciata di essere obsoleta nonostante certamente non sia una della Costituzioni vigenti più vetuste, è uno scritto meraviglioso.
Che potenza enorme e quanta immensa bellezza vi è nelle parole "esistenza libera e dignitosa"!
La libertà, la dignità, pilastri fondamentali per la vita di ogni essere umano. Non eleganza, ma libertà e dignità. Non basterebbero volumi interi a spiegare quando questi termini siamo intrisi di storia, sapienza, sacrificio e sangue di milioni di esseri umani nonché frutto di secoli di storia.
Tutto questo non merita di essere svilito da espressioni come "diritto all'eleganza" e sopratutto tutti dovrebbero leggere scientemente la nostra Carta Costituzionale per avere concreta contezza dei propri diritti e doveri e, sinceramente emozionarsi, al solo leggere la parola libertà.
Alla libertà è dovuto profondo rispetto poiché essa è fondamento della vita più della vita stessa poiché una vita non libera non è vita.
Se oggi, almeno per quanto riguarda la civiltà occidentale, chiunque può rivendicare le proprie idee attraverso gli strumenti di comunicazione di massa, è perché migliaia di persone nel passato, hanno lottato perché ciò potesse accadere, per il nostro diritto ad essere uomini liberi, non uomini vestiti con abiti di lusso ma persone ammantate di libertà.
Scriveva Hobbes in polemica con Coke "Non è utile proclamare diritti se non c’è chi è in grado di difenderli" (cfr A dialogue between a Philosopher and a Student of the Common Law of England), mirabile dottrina a dimostrazione dell'eterna lotta che ha sempre impegnato l'essere umano per l'affermazione dei propri diritti.
Ma il diritto ad essere esseri umani liberi passa attraverso l'adempimento dei doveri imposti dalla società civile.
In questo millennio si è assistito, rispetto al recente passato, ad un capovolgimento di fronte.
Nelle società occidentali, i pericoli per i diritti rivelano una matrice fondamentalmente individualistica.
Non è più lo Stato che opprime l’individuo. Ma è l’individuo che cerca di asservire la società e lo Stato.
I diritti servono sempre meno a difendersi dall’autorità pubblica e sempre più ad invocarne il provvidenziale l' intervento (cda esempio, fra tutti, il diritto alla percezione del reddito di cittadinanza) con tutte le distorsioni e le storture cui stiamo assistendo negli ultimi anni.
Ecco che si apre dunque lo scenario al dovere.
Il dovere immette nell’esperienza giuridica il flusso benefico della solidarietà, argina l’insularizzazione dei soggetti e rinsalda il valore dell’uomo come entità sociale - "il dovere giuridico dell’io costituisce la concretezza del diritto del tu, nella circolarità del loro reciproco incondizionato riconoscersi" (cfr Bartolomeo Romano Il dovere nel diritto.
Giustizia, uguaglianza, interpretazione) - che realizza e arricchisce la sua personalità nel grembo della comunità.
L’appello al dovere rinsalda i giunti che tengono unita la società!
E' proprio sulla scorta della connotazione dell’uomo quale essere sociale che è possibile coniugare il principio personalista - anche questo consacrato nella nostra Costituzione all'art. 2 - che esige il primato dei diritti e la loro tendenziale impossibilità di essere compressi, con la necessità di perseguire l’integrazione sociale e promuovere il bene comune, che invece postula una sorta di sbarramento, necessario, all’individualismo - il dovere - .
Non può vedere la luce una società dove tutti rivendichino diritti e non si attengano a nessun dovere anche perché come sosteneva il compianto professor Bruno Celano, dando saggiamene una lettura a contrario, i diritti "non sono che parvenze, la cui sostanza è resa dall’imposizione (ad altri) di doveri" ( B. Celano, I diritti nella jurisprudence anglosassone contemporanea. Da Hart a Raz).
Concludendo e ritornando allo spunto iniziale a questo scritto, si deve affermare con forza come il "diritto all'eleganza" non possa e non debba trovare cittadinanza in nessuna società e nessuna coscienza civile ma ci debba essere, per converso, il dovere (ed il diritto) ad essere sempre e comunque uomini liberi.