Deutsche Bank e i derivati: la caduta degli dei
La Deutsche Bank, la più grande banca tedesca, ha tolto il primato all’americana JP Morgan Chase nella classifica dei derivati finanziari! Questo è un fatto sottaciuto, ma bruttissimo per tutta l’Europa.
Il bilancio annuale 2012 della DB rivela contratti in derivati per un valore nozionale di 55,60 trilioni di euro, pari a oltre 72 trilioni di dollari. Ha superato quindi la Jp Morgan Chase, che è sempre stata la numero uno sui mercati Otc. Quest’ultima alla fine del quarto trimestre dello scorso anno deteneva derivati per un valore nozionale pari a 69,5 trilioni di dollari.
Per mitigare il significato straordinario di tali cifre, i difensori delle qualità degli Otc si affannano sempre a sottolineare che il valore nozionale rappresenta la foto di tutti i contratti in un dato momento e che, se andranno a buon fine, le perdite e i guadagni saranno una frazione del totale.
A noi per il momento preme sottolineare la “pazzia” della DB che, dopo l’esplosione della bolla dei derivati legati ai muti subprime negli Usa, ha accresciuto la sua navigazione nelle stesse acque melmose e stagnanti di simili speculazioni. Purtroppo delle speculazioni rischiosissime in derivati si ha notizia solo dinanzi all’esplosione delle bolle finanziarie, ma a quel punto la crisi è già sistemica.
Si ricordi che il capitale di base della DB è appena l’1,47% del valore di tutte le sue attività. E’ una percentuale bassissima e inferiore finanche al 2,55% della Morgan Stanley che nei vortici della crisi bancaria americana era una delle banche più esposte e indebitate. Questi dati si evincono da un recentissimo studio dell’americana Federal Deposits Insurance Commission. Ciò vuol dire che in media per ogni euro di attività perse o fallite nella DB vi sono soltanto 1, 47 centesimi di copertura.
La DB è un’eccezione o ha fatto scuola nel sistema bancario europeo?. Si rammenti che esso è pieno di liquidità, messa a disposizione dalla Bce a tasso zero, che non viene trasformata in crediti per la ripresa, in quanto le banche preferiscono investire in obbligazioni e anche in derivati.
Forse anche le recenti dure posizioni della Merkel sulla solvibilità dei bond degli Stati europei in difficoltà non sono solo imputabili alla sua ideologia del rigore. Evidentemente la Cancelliera ha qualche preoccupazione sulla tenuta della macchina finanziaria targata DB qualora si interrompessero dei pagamenti su cui si regge l’intera struttura dei suoi derivati .
Al riguardo è rilevante notare che la Bundesbank, la banca centrale tedesca, insieme alle autorità di controllo americane, sta conducendo delle indagini su varie operazioni in derivati fatte dalla DB negli Usa nel periodo 2007-10. In merito, i media internazionali riportano che la banca tedesca avrebbe coperto perdite di circa 12 miliardi di dollari a causa di operazioni in derivati andate male. Si pensi che se tali perdite fossero state riportate in bilancio, la BD avrebbe dovuto chiedere un intervento di salvataggio da parte dello Stato tedesco, come fece a suo tempo la Commerzbank. In tal caso il suo nome e la sua reputazione sarebbero finiti nella polvere.
D’altra parte non è un caso che la Commissione d’inchiesta del Senato Usa abbia indicato nella DB e nella Goldman Sachs i maggiori responsabili del collasso finanziario e della bolla dei derivati.
E’ sconfortante la constatazione del fatto che non solo la DB ma anche altre banche europee abbiano seguito gli esempi peggiori delle loro cugine anglo-americane, anche dopo i default. La mano della DB appare anche in moltissime operazioni in derivati sottoscritte in Italia. Spesso sono diventate oggetto di indagini come, da ultimo, nello scandalo della Monte Paschi di Siena.
Stante questa situazione, nel limbo delle regole mancate, purtroppo anche settori importanti del sistema bancario europeo si sono riempiti di titoli che all’esplodere di una ulteriore crisi finanziaria saranno ancora una volta definiti “tossici”.
Scritto per Ifanews da Mario Lettieri, Sottosegretario all’Economia del governo Prodi e Paolo Raimondi, Economista.