Crisi, è partito il countdown. Ma intanto siamo, e saremo, più poveri
L`Italia uscirà dalla crisi entro i prossimi 3 anni, ma in condizioni peggiori di prima. Il primo segnale della ripresa sarà la diminuzione della disoccupazione. Tra 10 anni saremo però più poveri.
Per cambiare il Paese ci vorrebbero le riforme, ma molti invocano la `rivoluzionè. Sono i risultati di un sondaggio «Come e quando usciremo dalla crisi economica?», realizzato per le Acli da Ipr Marketing, in collaborazione con Iref, l`istituto di ricerca, diffuso alla vigilia del 24° Congresso nazionale delle Associazioni cristiane dei lavoratori italiani. «Il Paese ha bisogno di ripartire ricostruendo il rapporto di fiducia con i cittadini e rianimando il sentimento di speranza, offrendo un modello e un progetto credibile di sviluppo», commenta il presidente delle Acli, Andrea Olivero, che domani aprirà il Congresso dell`associazione, dedicato al tema «Rigenerare comunità per ricostruire il Paese». L`appuntamento allo Sheraton Golf Parco dè Medici, vedrà intervenire tra gli altri il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Elsa Fornero, e il segretario generale della Conferenza episcopale italiana mons. Mariano Crociata. «Il risanamento dei conti non basta - sottolinea Olivero - Gli italiani mostrano di aver ben chiare le priorità: lavoro, giustizia e onestà. La strada da percorrere è quella delle riforme, per cambiare in meglio questo Paese, senza lasciare altro pericoloso spazio ad astensionismo e antipolitica».
«Quanto peserebbe sul bilancio mensile della sua famiglia un spesa imprevista di cento euro?» è la prima domanda rivolta a un campione rappresentativo della popolazione italiana maggiorenne. Per sei italiani su dieci (60,2%) peserebbe molto o abbastanza. Più preoccupati di fronte a una spesa fuori budget sono i cittadini del Sud (70,9%), le donne (68,7%) e gli under 35 anni (62,7%). Quasi la metà degli intervistati (47,5%) ha iniziato a percepire in concreto nella vita quotidiana gli effetti della crisi economica tra il 2010 e il 2011. Il 14,8% del campione era già in una situazione di sofferenza economica prima del 2008. La grande maggioranza degli italiani (72,4%) non riesce a leggere in questa crisi un`occasione di progresso o cambiamento. Preoccupazione (27,45), insicurezza (17,3%) e pessimismo (12,4%) sono i sentimenti dominanti quando si pensa al futuro. La speranza precede il pessimismo tra gli uomini over 54enni, i laureati e i cattolici praticanti. E per uscire dalla crisi sociale ed economica del paese, secondo gli italiani non si può non puntare su una maggiore equità (24,9%) e moralità (22,8%) generale da un lato e dall`altro occorre far leva sulla competenza (18,5%) delle classi dirigenti e sull`innovazione (12,7%). La richiesta di una maggiore equità sociale emerge anche in relazione all`opinione degli italiani su chi deve pagare la crisi. Il 74,8%, del campione, infatti, ritiene che siano i cittadini più facoltosi a dover sopportare il carico maggiore della crisi. Opinione, questa, diffusa in maniera trasversale e con la stessa intensità in tutti i segmenti socio-demografici della popolazione.
Chi ci toglierà dalla crisi? Non importa che sia uomo o donna (25%) o sposato (14%) o cattolico (9%); men che meno che sia capo di un partito (6%): il leader futuro sarà giovane (53%) e con competenze professionali all`altezza delle sfide attuali; sarà laureato per il 49% degli intervistati, una persona esperta, se necessario docente universitario (37%). Sul fronte degli interventi da effettuare, per la grande maggioranza degli italiani, la persona che ci toglierà dalla crisi dovrà occuparsi prima delle famiglie e poi dei conti dello Stato (75%) e tenere conto delle indicazioni delle istituzioni internazionali (56%). Questa leadership competente è dunque consapevole dei problemi di equità interna che contraddistinguono l`attuale panorama italiano, ma è altresì consapevole della fitta rete di relazioni e di scambi di cui l`Italia è partecipe. Per la maggioranza degli intervistati (50,9%) la strada da seguire per cambiare il Paese è quella riformista, con interventi graduali e condivisi (35,7%) ma anche impopolari (14,6%). I più propensi a una via riformista sono gli uomini, gli over 54enni, e i cattolici praticanti. Ma la crisi porta con sè anche atteggiamenti radicali: quasi un terzo del campione (32,%) vede la «rivoluzione» come unico mezzo per trasformare l`Italia (32%). Per il 17,2% degli intervistati «questo Paese non cambierà mai». Un segnale che non va affatto trascurato ed è figlio probabilmente di quella sfiducia nei partiti e di quel sentimento di antipolitica che sta montando in questi ultimi anni.