Consob, tante belle parole...e poi?

Scritto da Nicola Benini, vicepresidente Assofinance. Spiace che il dott. Vegas durante l’importante appuntamento della CONSOB con il mercato abbia si segnalato la scarsa trasparenza di alcune categorie di prodotti finanziari quali i CDS gli ETF, ma senza menzionare che oltre al concetto astratto e soggettivo esiste anche una trasparenza oggettiva e misurabile ovvero quella che dovrebbe essere adottata per misurare i rischi e quindi la reale adeguatezza di un qualsiasi strumento finanziario in termini di efficacia ed efficienza rispetto alle necessità di un qualunque investitore .

Consob, tante belle parole...e poi?

Proprio la mancata trasparenza sui rischi permette “alle pratiche nocive” di propagarsi senza trovare ostacoli e favorire le crisi finanziarie. Moltissimi fenomeni di patologia finanziaria non si sarebbero mai generati e sviluppati senza la premessa di una forte asimmetria cognitiva e di trasparenza del rischio finanziario tra le parti. E senza trasparenza, che è il fluido del motore dei mercati, alla lunga si “grippa”.   
 Spiace ancora di più perche fu proprio l’ italianissima Authority italiana fin dal 2007 (anticipando la FSA e l’ESMA, a dimostrazione che in finanza siamo bravi anche noi), studio’ e propose di adottare le metodologie probabilistiche per “misurare e recintare i rischi” (com’ è stato scritto in una lettera a Mario Monti), l’unica che permette a qualunque investitore (pubblico o privato) di essere consapevole sui rischi e i costi dei prodotti finanziari. Stiamo ovviamente parlando della nota metodologia “risk based” dapprima implementata, suggerita persino in audizione presso la Commissione Finanze indicata implicitamente nella bozza di regolamento per i derivati negli enti locali ma poi, inaspettatamente, abbandonata a favore di un approccio di tipo “what if” che, come ogni consulente finanziario indipendente sa bene, ha un difetto genetico nel fatto che limita la misura del rischio a pochissimi casi scelti arbitrariamente dal collocatore/venditore. Metodi probabilistici e scenari “what if” possono certamente coesistere, ma i secondi non possono prescindere dai primi.
Ed infatti proprio gli investitori italiani, che evidentemente tutti sprovveduti non sono, lo hanno fatto capire in un sondaggio (a chiare lettere visto l’esito) del “Corriere della sera”  che ha dimostrato come vi sia  l’auspicio di tutela dei presidi di trasparenza (quella oggettiva e non astratta) sui rischi dei prodotti. L’adozione degli scenari probabilistici sul rischio permettono di “vedere” una realtà spesso ben diversa da quella “presentata”  da chi offre. L’esempio del sondaggio è stato eloquente: col semplicistico “what if”  sembrava apparentemente conveniente (in termini di rischio/rendimento) un investimento che non lo era affatto.
Secondo i consulenti indipendenti quindi quella di ieri è stata un’occasione forse persa per fare un passo avanti nel lungo e complesso cammino che dovrebbe ricondurre la finanza al servizio dell’ economia reale e produttiva e di impiego del risparmio partendo proprio dal fattore più critico: la capacità di misurare e comprendere i rischi finanziari e mettere finalmente i soggetti che costituiscono il  “lato offerta” del mercato in concorrenza reale e non apparente agli occhi di chi fa “domanda”.

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