Commodities, future e derivati: quando la finanza specula sul cibo

Per decenni, il termine commodities (merce) è stato utilizzato per definire il petrolio, il carbone, l’oro, il rame e, in generale, tutte quelle materie prime legate ai processi industriali. Ai prodotti dell’agricoltura era concesso un altro status, venivano infatti definiti: produzioni primarie.

Commodities, future e derivati: quando la finanza specula sul cibo

Non che i prodotti agricoli non entrassero nei processi industriali anzi, ma ad essi era riservato un altro trattamento, forse li si considerava ancora per quello che realmente sono: cibo, perciò non semplicemente una merce. Ma col tempo anche il mais, la soia, il grano e altre produzioni primarie come latte e burro, hanno attirato l’attenzione del trading internazionale e degli speculatori che, sono sempre in cerca di nuove opportunità di guadagno.
Da lì ad estendere il concetto di commodity, di merce, anche alle produzioni primarie agricole il passaggio è stato breve, brevissimo ma certamente non indolore, specie per gli agricoltori.
Il mondo agricolo veniva da un mercato “reale” che, vedeva operare in ogni piccola città di provincia una Borsa Merci che, settimanalmente, fissava i prezzi dei prodotti agricoli rilevandoli da trattative vere e serrate, tra venditori e compratori. Ma in pochi anni, anche il settore agricolo, si è dovuto adattare ad un mercato “virtuale”, che ha sostituito la trattativa diretta con gli scambi internazionali, che non tiene conto di come è andato il raccolto e delle produzioni puntuali perché, a queste antepone gli “stock”, le riserve strategiche dei singoli stati.

Le dinamiche dei prezzi e la loro formazione, sono radicalmente mutate dietro la spinta di un mercato che da locale è divenuto globale, che stabilisce il prezzo del mais al CBOT (la Borsa agricola internazionale) di Chicago, quello del grano al MATIF (la Borsa agricola specializzata sui cereali a paglia) in Francia, quello della soia in Brasile. Negli ultimi anni poi, alla globalizzazione dei mercati si è sommata la speculazione della finanza e gli scenari sono divenuti ancor più complessi.
Fondi sovrani, private equity, fondi pensione hanno infatti rivolto la loro attenzioni anche alle produzioni agricole che, con l’introduzione del concetto di “Food Security”, sono diventate strategiche.
Il concetto di food security non si riferisce alla sicurezza sanitaria del prodotto alimentare, che in occidente diamo quasi per scontata ma, alla sicurezza di approvvigionamento minimo dello stesso quindi, alla certezza di non rischiare di “patire la fame”. Le riserve strategiche sono passate dal petrolio al cibo. È evidente che nel terzo millennio, la presa di coscienza che le produzioni agricole potrebbero non essere in grado di soddisfare la totalità del fabbisogno alimentare è per il mondo occidentale inaccettabile e di conseguenza, l’approccio degli speculatori è totalmente mutato.
E con esso, sono cambiati gli strumenti di mercato, sono arrivati future e obbligazioni, vendite allo scoperto e tutto ciò che sino a ieri riservato alla finanza di carta. Ma l’agricoltore è un imprenditore legato alle tradizioni e al possesso materiale del bene, a cui non piace scommettere, specie se l’oggetto della scommessa è il valore dei nostri prodotti tra 6 mesi o un anno.
Ciò nonostante, con fatica, i produttori si sono dovuti piegare a nuove logiche di mercato: prima hanno accettato che i prezzi dei prodotti venissero stabiliti altrove, poi che il costo degli alimenti per i loro animali fosse direttamente influenzato dagli investimenti dei fondi sovrani e infine che gli speculatori che sino a ieri avevano puntato su Wall Street, si esercitassero con future e obbligazioni su mais, soia e frumento.
I tempi hanno imposto questi cambiamenti ma non tutto ciò che è modernità e di per se’ giusto, è infatti etico trattare le produzioni primarie alla stregua del petrolio? È etico scommettere sul cibo? Quale morale può giustificare la speculazione sulle produzioni primarie che, per definizione, sono tali perché indispensabili per l’uomo?

Luigi Simonazzi
Responsabile settore economico
Coldiretti Milano Lodi Monza Brianza

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