Cina contro USA: la battaglia continua sui T-Bond americani

I dati relativi alla performance del terzo trimestre 2011 vedono la Cina in leggero rallentamento per quanto riguarda il PIL: dalla crescita del 9,5% del secondo trimestre si è passati a quella del 9,1% del terzo, contro una previsione degli analisti di +9,2%. Un dato incoraggiante e volto a fugare ipotesi allarmistiche è, però, quello riferito alla produzione industriale, cresciuta dl 13,8% a settembre contro il 13,5% di agosto. Conseguenze particolarmente negative a livello inflazionistico, dunque, dovrebbero essere al momento scongiurate. Ciò che maggiormente preoccupa, invece, sono i rapporti sempre tesi con gli Stati Uniti, iniziati ad inasprirsi con il disegno di legge del Senato USA relativo all’introduzione di possibili dazi sulle merci  dei paesi che tengono artificialmente la loro valuta sotto i livelli reali, comportamento di cui è imputato in primis proprio il governo cinese. Ad agosto, in piena esplosione della crisi dei debiti sovrani della zona euro, gli acquisti netti di titoli di stato americani sono tornati positivi per 89,6 miliardi di dollari, contro il flusso negativo di 52,4 miliardi registrato a luglio. Per gli investitori europei, infatti, i bond USA erano visti come un rifugio sicuro in un periodo di turbolenza. Il risultato è stato conseguito nonostante la Cina, primo detentore estero di T-Bond americani, abbia venduto titoli USA a lungo termine tagliando in un mese la sua esposizione fino a farla attestare a 1.137 miliardi di dollari; una diminuzione di 36,5 miliardi rispetto all’esposizione precedente. In direzione diametralmente opposta si sono mossi i governi di Giappone (esposizione aumentata da 914,8 a 936,6 miliardi), Svizzera (esposizione aumentata del 36% fino a toccare 147,5 miliardi) e Regno Unito (esposizione aumentata del 12,4% a 397,2 miliardi). La Cina, quindi, sembra avere avuto un istinto di reazione alle crescenti difficoltĂ  del debito pubblico americano e allo storico declassamento da parte di Standard & Poor’s della prima economia mondiale, fatto rispetto a cui, invece, la maggior parte degli altri paesi si sono mostrati indifferenti. La strategia di Pechino assume dunque le sembianze di una bacchettata nei confronti di Washington in relazione alla gestione della crisi dei suoi conti pubblici e ha tutta l’aria di essere una contromossa studiata contro la minaccia dei dazi profilata dal senato americano. I rapporti restano dunque tesi e solo le prossime mosse dei due big ci permetteranno di comprendere se arriveremo di fronte a una situazione di scontro aperto, con l’inevitabile alterazione del panorama economico mondiale, o se prevarrĂ  la linea morbida della diplomazia.

Cina contro USA: la battaglia continua sui T-Bond americani