CASSE DI PREVIDENZA E BANKITALIA. NEL CAPITALE UNA RAPPRESENTANZA VISIBILMENTE SOVVRAPESATA.
Giannina Puddu, 12 luglio 2022.
Quella del 2022 resterà nella storia come l'estate del grande innamoramento delle Casse di Previdenza verso Bankitalia.
La scintilla scoccata è forte tanto da avere determinato nuovi acquisti di quote del capitale della nostra Banca Centrale (ancorchè, completamente, privata) e perfino da volersi far controllare da questa, anzichè dall'ANAC, anzichè dalla Corte dei Conti, anzichè dal Ministero del Lavoro, anzichè subire il restrittivo e "seccante" Codice degli Appalti...
Come e perchè è nato questo amore?
Ha origini abbastanza lontane che ci riportano al Governo Letta con Fabrizio Saccomanni Ministro del MEF, in carica dal 28 aprile 2013 al 22 febbraio 2014 ovvero fino "all'Enrico stai sereno...".
Fino ad allora il Capitale di Bankitalia era pari a 156mila euro.
Con la legge 5 del 29 gennaio 2014, le quote furono rivalutate elevando il capitale da 156mila euro a 7,5 miliardi di euro.
Si levarono voci molto critiche che sostennero che si fosse trattato dell'ennesimo “regalo” alle banche private, che detenevano la maggior parte delle azioni di Bankitalia.
Ma, la decisione restò come pura questione di soldi giacchè non esiste un CDA di Bankitalia gestita, esclusivamente, dallo Stato Italiano.
Per l'appunto, questa splendida novità, aiutò le banche nell'abbellimento dei loro bilanci successivi, attribuendo secondo criteri soggettivi e molteplici, un valore molto più alto del precedente alle quote possedute.
Non esiste un valore di mercato per queste quote non disponibili per gli scambi.
Si introdusse anche la nuova regola che limitava al 3% la partecipazione nel capitale dell'Istituto che vedeva, allora, Unicredit e Intesa al 60% ed un tetto massimo pari a 450 milioni di dividendi distribuiti calcolati nella misura del 6% del nuovo capitale.
Un esplicito invito rivolto a nuovi azionisti e pari invito a Intesa e Unicredit a cedere l'eccesso.
Il Movimento 5S di quel tempo assunse toni di protesta molto forti che sfumarono di anno in anno.
Alle critiche, Bankitalia rispose che non si crearono soldi dal nulla per regalarli alle banche e che, più semplicemente, l'aumento di capitale si era finanziato con i fondi di riserva, già disponibili in bilancio.
Nel novembre 2015, Intesa Sanpaolo (alla data primo azionista Bankitalia con ca. il 30%), faceva cassa cedendo il 5,7% (430milioni) a Enpam, Inarcassa, Cassa Forense, Enpaia, Cassa Ragionieri e Banca del Piemonte.
Mentre Giovanni Bazoli di Unicredit, che nel 2013 aveva postato a bilancio l’intera quota in portafoglio (42,5%) a 642 milioni di euro, nello stesso anno, portava a casa 430 milioni con la sola cessione del 6%.
Che dire?
Ogni imprenditore vorrebbe una tale fortuna per la sua impresa ma è solo per i banchieri.
Alla fine del primo quadrimestre 2016 le quote in eccesso erano state cedute per un valore nominale pari a circa 1 miliardo con altri 4 miliardi ancora da cedere.
Per agevolare il processo di cessione, Bankitalia si era resa disponibile all'acquisto ma nel limite di 500 milioni anno e, per queste quote, si stabilì che il diritto di voto fosse sospeso e che i dividendi fossero imputati alle riserve statutarie della Banca d'Italia.
A fine 2021, Lega e Forza Italia chiedevano al Governo di favorire lo smobilizzo di risorse che le banche italiane, come Intesa Sanpaolo e Unicredit, avrebbero potuto destinare al finanziamento delle imprese, contribuendo al sostegno degli investimenti e interventi in campo sociale, culturale e scientifico.
Infatti, per Intesa e per Unicredit il bisogno era forte avendo in carico, rispettivamente, il 16,8% e l'8,46% del capitale Bankitalia, privo di rendimento oltre la soglia del 3%.
Vorrei sapere da questi esponenti della Lega e di Forza Italia quali strumenti di controllo abbiano attivato per verificare la correttezza della loro previsione relativa alla destinazione della nuova cassa delle due banche coinvolte, per esempio, alla data di oggi, 12 luglio 2022.
Così che, nella legge di Bilancio 2022, all' articolo 1, commi 715-717 si trova l'aumento del limite di partecipazione al capitale dell'istituto che è passato dal 3 al 5 per cento.
Il diritto all'acquisto è riservato a banche e imprese di assicurazione e riassicurazione aventi sede legale e amministrazione centrale in Italia; fondazioni di cui all'articolo 27 del d.lgs. n. 153 del 17 maggio 1999; enti ed istituti di previdenza e assicurazione aventi sede legale in Italia e fondi pensione istituiti ai sensi dell'art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 252 del 5 dicembre 2005.
Lo Statuto della Banca d'Italia è stato adattato alle nuove disposizioni dal 1° luglio 2022 con modifiche deliberate dall'assemblea straordinaria dei partecipanti e sono approvate dal Presidente della Repubblica con proprio decreto, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri.
La modifica introdotta dalla Legge di Bilancio 2022, ha soddisfatto le banche che hanno interesse ad alleggerire la loro presenza nel capitale di Bankitalia e alimentato l'appetito di chi, invece, mirava ad avere un potere più ampio nella stessa.
Così che, da Roma, a marzo, arrivava la conferma, dalle Casse di previdenza professionali, del loro interesse verso l'incremento della loro posizione nel capitale della Banca d'Italia.
Le associate all'Adepp (l'Associazione degli Enti pensionistici privati), partecipanti al capitale Bankitalia, da marzo 2022 sono 11 con oltre il 25,3% dello stesso.
A febbraio, riferiva l'ANSA che i più grandi Enti previdenziali avevano annunciato di aver investito dal 3% al 4,93% nel capitale dell'Istituto di via Nazionale: si tratta di Inarcassa (ingegneri e architetti), dell'Enpam e della Cassa forense (avvocati) che, pur avendo deliberato di arrivare fino al 5% (come consentito ai privati da una norma della Legge di Bilancio per il 2022, ndr), hanno visto il loro investimento esser leggermente ridimensionato, in virtù della disponibilità delle quote in vendita.
A seguire, con 'pacchetti' di azioni via via più bassi, ci sono Cdc (dottori commercialisti), Enpaia (addetti e impiegati in agricoltura), Eppi (periti industriali), Enpacl (consulenti del lavoro), Cnpr (ragionieri), Enpapi (infermieri), Enpab (biologi) e Enpap (psicologi).
Insomma, fare i "banchieri" piace a molti e la tentazione è irresistibile.
Le Casse possono correttamente bearsi di avere oltre un quarto (!) del capitale della nostra Banca Centrale.
E' decisamente troppo, la presenza è assolutamente sovvrapesata rispetto alla realtà italiana.
Basti pensare che INPS detiene solo il 3% delle quote mentre rappresenta, al dato 2019, 25 milioni e 630 mila lavoratori italiani, contro il sistema della Casse che si ferma a ca. 1milione e 680 mila.
Questo ci aiuta a capire anche uno dei più recenti azzardi del management di vertice delle casse che vorrebbero resettare tutto e farsi "controllare" solo da Bankitalia, nella convinzione, viene da pensare, di controllare, ormai, la controllante...
Credo che questa condizione sia da intendersi provvisoria.
Non può durare un tale squilibrio nella rappresentanza della nostra Banca Centrale.
Il legislatore dovrà rimettere mano a questa incongruenza che pare una trave dinanzi ai suoi occhi.
A maggior ragione giacchè erano stati soppressi (articolo 6, comma 1) i poteri del Ministero dell'Economia di sospendere e annullare le delibere dell'Assemblea e del Consiglio Superiore della Banca d'Italia, conservando solo l'obbligo, da parte della Banca d'Italia, di informare il Ministro dell'Economia e delle finanze riguardo alle convocazioni dell'assemblea generale dei partecipanti e alle adunanze del Consiglio superiore.
Oltre l'eliminazione della cd. clausola di gradimento alla cessione delle quote.
Banca d' Italia è di tutti e non può appartenere, per oltre un quarto, alle Casse di Previdenza, in mano ai pochi uomini che le governano, in modo spesso discutibile o molto discutibile, come cronaca racconta.
https://www.bancaditalia.it/chi-siamo/funzioni-governance/partecipanti-capitale/Partecipanti_2022.pdf