CASSA FORENSE, L’OPZIONE AL CONTRIBUTIVO E LA DECONTRIBUZIONE

CASSA FORENSE, L’OPZIONE AL CONTRIBUTIVO E LA DECONTRIBUZIONE

Trento, 5 ottobre 2024. Di Paolo Rosa, avvocato.

I Ministeri Vigilanti hanno approvato la riforma di Cassa Forense.

A partire dal 1° gennaio 2025 è prevista l’introduzione del sistema di calcolo contributivo in “pro rata” delle prestazioni pensionistiche, decontribuzione dei minimi e aumento progressivo della contribuzione soggettiva (16, 17 e 18%).

Agli attuali iscritti si applicherà, quindi, un sistema di calcolo misto che prevede una prima quota calcolata con il sistema retributivo vigente per le anzianità contributive maturate al 31.12.2024 e una seconda quota, calcolata con il sistema contributivo, per le anzianità maturate dal 1° gennaio 2025 in avanti.

Chi si iscriverà dal 1° gennaio 2025 avrà diritto, al compimento dell’età di 70 anni, alla pensione unica di vecchiaia contributiva, calcolata esclusivamente secondo il sistema contributivo, purché possa vantare almeno 5 anni di effettiva iscrizione e integrale contribuzione.

All’età di 65 anni, lo stesso iscritto dal 1° gennaio 2025, potrà chiedere il trattamento di pensione se potrà far valere almeno 35 anni di contributi versati e un importo alla decorrenza almeno pari al trattamento minimo vigente nell’anno.

A questo punto si pone il problema dell’integrazione al trattamento minimo.

In base all’art. 1, comma 16, della legge n. 335/1995, le prestazioni calcolate per intero con il sistema contributivo non possono fruire dell’istituto dell’integrazione al minimo e quindi l’impianto normativo della riforma di Cassa Forense sul punto si porrebbe in contrasto con la norma citata che anche l’autonomia delle Casse previdenziali deve rispettare così come, nell’opzione per il sistema contributivo, deve rispettare, com’è avvenuto il criterio del pro rata temporis.

La questione dell’applicabilità dell’art. 1, comma 16, della legge n. 335/1995 è stata però portata, dalla Corte di Cassazione con la sentenza 24712/2024 del 09.07.2024, all’attenzione della Corte Costituzionale nella parte in cui non prevede la corresponsione dell’integrazione al minimo dell’assegno ordinario di invalidità, in presenza dei requisiti contributivi e reddituali previsti, che sia calcolato interamente con il sistema contributivo.

La questione, sia pure sollevata a proposito dell’assegno ordinario di invalidità INPS, attenendo a principi di carattere generale, interessa anche la riforma di Cassa Forense che ha optato per il sistema di calcolo contributivo mantenendo l’integrazione al trattamento minimo.

Trascrivo il cuore del problema di cui ai paragrafi da 40 a 68 della sentenza testé citata che, per ragione temporis, i delegati non potevano conoscere.

«40. Ciò premesso, va detto che l’integrazione al minimo della prestazione previdenziale in generale e dell’assegno ordinario di invalidità in particolare, ha la funzione di garantire che la pensione abbia un importo minimo, quando dal calcolo in base ai contributi accreditati al lavoratore risulti un importo inferiore a un minimo ritenuto necessario ad assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita, giusta il precetto dell’art. 38 secondo comma Cost.

41. Secondo la Corte Costituzionale, tale funzione che qualifica, come detto, l’integrazione al minimo come istituto previdenziale, si fonda non solo sul principio mutualisticoassicurativo, ma anche sul principio di solidarietà (C. Cost. n. 240/94). Il Giudice delle leggi ha avuto diverse occasioni in passato di richiamare la genesi e l’evoluzione dell’istituto della prestazione pensionistica minima dei lavoratori, allo scopo di inquadrarne la natura nell’ambito dell’art. 38 Cost. (C. Cost. n. 31/86). Tale trattamento è stato riguardato sotto un profilo oggettivo, quale garanzia, cioè, a che la prestazione pensionistica abbia comunque un determinato livello minimo (C. Cost. n. 184/88).

42. Con riguardo, quindi, all’art. 3 Cost., va detto che si ritiene irragionevole e discriminatorio distinguere tra calcolo retributivo e contributivo dell’assegno ordinario di invalidità, consentendosi il predetto trattamento minimo solo rispetto alla prima modalità di calcolo dell’assegno.

43. Qualunque sia il sistema – contributivo o retributivo – adottato per fondare l’an e il quantum del trattamento pensionistico, resta immutata l’unitaria esigenza espressa dall’art.38, co.2 Cost., ovvero quella di garantire al pensionato adeguate esigenze di vita. Ove tale bisogno previdenziale sussista poiché – qualunque sia il sistema di calcolo adottato – il trattamento pensionistico raggiunto – o col metodo contributivo o con quello retributivo – sia inferiore a un minimo predeterminato dal legislatore come soglia al di sotto della quale non sono assicurate dalla prestazione previdenziale adeguate esigenze di vita, la necessità dell’integrazione al minimo è ineliminabile, a meno di non voler ridurre oltre misura la soddisfazione delle esigenze di vita del lavoratore, cioè, di chi ha contribuito, in qualche modo, al benessere della collettività. Non sarebbe ragionevole, e anzi si direbbe discriminatoria, la scelta di penalizzare il pensionato attratto al sistema contributivo, rispetto ad un bisogno che è sempre lo stesso a prescindere dal modo di calcolo della prestazione pensionistica che sia risultata comunque insufficiente a soddisfare tale bisogno e ciò in quanto il sistema di calcolo contributivo è tendenzialmente meno favorevole e più restrittivo rispetto a quello retributivo (perché viene conteggiata la contribuzione su tutto l’arco di vita lavorativa e, quindi, si tiene conto anche degli anni con contribuzione minore).

44. Né tale scelta, in danno del pensionato attratto al sistema contributivo, pare potersi giustificare con la discrezionalità rimessa al legislatore, il quale è chiamato a bilanciare l’esigenza previdenziale con l’esigenza di equilibrio della finanza pubblica.

45. In effetti, la necessità che le scelte del legislatore si conformino ai principi espressi dall’art. 3 cost. comporta che anche le scelte di contenimento della spesa previdenziale non possono sacrificare il nucleo intangibile dei diritti tutelati dall’art. 38 cost. e devono essere rispettose dei principi di eguaglianza e ragionevolezza (fra le molte, sentenze n. 250 del 2017 e n. 70 del 2015).

46. Il Legislatore, invero, può intervenire con leggi peggiorative anche su trattamenti pensionistici in corso di erogazione, ma, anche in tal caso, purché sia rispettato il principio di ragionevolezza (cfr. Corte Cost. nn. 349/85, 822/1988, 283/93, 211/97, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’eliminazione retroattiva di una prestazione già riconosciuta, cioè, la pensione ordinaria degli spedizionieri doganali che era stata revocata a seguito dell'elevazione a 61 anni dell'età per il collocamento in quiescenza, v. Corte Cost. nn. 416/99, 446/02, 236/09, 302/10, 257/11): “non è interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali modifichino sfavorevolmente la disciplina dei rapporti di durata, anche se il loro oggetto sia costituito dai diritti soggettivi perfetti” (cfr. Corte Cost. n. 349/1985), purché ciò non avvenga, appunto, in maniera irragionevole, l’intervento si prospetti coerente con le premesse, non discriminatorio, razionale, trasparente, supportato da dati verificabili o da evidenze contabili (cfr., tra le tante, Corte Cost. n. 155/63 e n. 158/74; ma si vedano da ultimo, nn. 133/13, 70/15, 147/17, 250/17, nn. 12, 20, 107 e 166 del 2018, n. 50/19).

47. In un caso, relativo alla disciplina dell’assicurazione facoltativa (le cui prestazioni sono calcolate secondo il criterio contributivo), la Corte Costituzionale ha ritenuto l’illegittimità del difetto di previsione da parte della norma di un meccanismo di adeguamento dell’importo nominale dei contributi versati: con ciò affermando l’importante principio che l’adeguatezza della prestazione va salvaguardata anche (se del caso) attraverso strumenti di recupero del valore della contribuzione versata (Corte Cost. n. 497/88, principio ribadito, nella stessa materia, da Corte Cost. n. 288/94).

48. In una prospettiva più ampia, la Corte Costituzionale ha precisato che il principio di ragionevolezza ha più funzioni: limitare l’arbitrio del legislatore (Corte Cost. n. 250/17); prescegliere tra più soluzioni possibili, quella meno costosa (non tanto in termini monetari, quanto in termini di bilanciamento degli interessi contrapposti e, quindi, di sacrifici); garantire l’intangibilità di quanto risulti misura di sostegno indispensabile per una vita dignitosa (Corte Cost. n. 137/21).

49. Le stesse ragioni dell’equilibrio di bilancio - precisa ancora la Corte Costituzionale – non possono giustificare l’eliminazione retroattiva di una prestazione già riconosciuta (Corte Cost. n. 211/97) o, comunque, “peggiorare, senza una inderogabile esigenza, in misura notevole e definitiva, un trattamento pensionistico in precedenza spettante, con la conseguente, irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attività” (Corte Cost. n. 349/85).

50. Né, in tal modo, si sconfina nell’ambito riservato alla discrezionalità del Legislatore: infatti, tale discrezionalità già si esprime nella fissazione della soglia minima di ogni trattamento. Al legislatore spetta, nella sua discrezionalità, fissare tale soglia; ma una volta individuata quella, escludere che una specifica prestazione pensionistica – nel caso di specie, quella a calcolo contributivo dell’assegno ordinario di invalidità – debba raggiungere tale soglia, implica una inammissibile disparità di trattamento rispetto alle altre prestazioni pensionistiche, così da integrare la lesione di un diritto costituzionalmente garantito.

51. In proposito va precisato che la scelta del legislatore del 1995 di non applicare il trattamento di integrazione al minimo alle pensioni calcolate con il sistema contributivo (art. 1 comma 16 della legge n. 335/95), potrebbe aver trovato un bilanciamento nel successivo comma 20 (in combinato disposto con il comma 19), quasi in funzione surrogatoria, laddove è prevista la possibilità di acquisire il diritto alla pensione di vecchiaia già con un montante contributivo minimo, raccolto in soli 5 anni di assicurazione, in luogo del previgente requisito di anzianità assicurativa minima (che era pari a 15 anni ed era stato elevato a 20 anni dalla riforma pensionistica del 1992).

52. Tuttavia, nel caso specifico l’eliminazione dell’integrazione al minimo per l’assegno ordinario di invalidità non è compensata da misure che valgano a rendere sostenibile e giustificato il sacrificio imposto dalla legge.

53. Invero, come già chiarito in precedenza, nella sentenza della Corte Costituzionale n. 31/1986 si è constatato che leggi, giurisprudenza e prassi amministrativa hanno enucleato situazioni nelle quali il trattamento minimo delle pensioni dei lavoratori è stato riguardato sotto un profilo oggettivo, quale garanzia, cioè, che la prestazione pensionistica abbia comunque un determinato livello minimo, a prescindere dalle effettive condizioni soggettive del destinatario, con il che, si è ritenuto giustificato l’intervento solidaristico anche nelle ipotesi in cui i bisogni vitali del pensionato certamente risultavano altrimenti soddisfatti; v. ancora Corte Cost. n. 119/97”.

54. Per quanto riguarda, invece, il parametro costituzionale dell’art. 38, co.2 Cost., si precisa quanto segue.

55. L’art.38 delinea, secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale (cfr. sentenza n. 31/86) due distinte fattispecie tipiche, cioè due diverse ipotesi, rispettivamente nel primo e secondo comma del predetto articolo.

56. Nel primo comma, i destinatari della norma sono dei soggetti “comuni”, cioè i cittadini mentre, nel secondo comma, i destinatari sono dei soggetti “propri”, cioè i lavoratori. Pertanto, dovendo garantire il diritto dei lavoratori alla protezione sociale, il secondo comma rinvia a tutte le norme che impongono le contribuzioni previdenziali dei lavoratori stessi o che, comunque, attengono al lavoro prestato (o che si sta prestando), mentre il primo comma si occupa di istituire e gestire gli strumenti operativi atti a soddisfare il diritto “indifferenziato” dei cittadini stessi al mantenimento e all’assistenza sociale. Corollario di quanto sopra, è che il trattamento minimo delle pensioni dei lavoratori, in quanto riconducibile al secondo comma dell’art. 38 Cost., pur sganciato dall’entità della singola pensione, non potrebbe prescindere completamente dalle contribuzioni assicurative corrisposte, così come non vi sarebbe spazio per l’integrazione della pensione se il calcolo relativo alle contribuzioni versate, raggiungesse già di per sé, il minimo di pensione.

57. Ciò premesso, “i mezzi necessari per vivere” (art. 38 comma 1 Cost. rivolto, come detto, ai “cittadini”) non possono identificarsi con “i mezzi adeguati alle esigenze di vita” (art. 38 comma 2 Cost., rivolto ai lavoratori): questi ultimi comprendono i primi ma non s’esauriscono in essi.

58. Il confronto fra le due espressioni, usate peraltro nello stesso articolo 38 della Costituzione, conduce a rilevare che il Costituente ha voluto privilegiare la posizione dei lavoratori, anche in considerazione del contributo di benessere offerto alla collettività oltreché delle contribuzioni prestate, garantendo loro non soltanto la soddisfazione dei bisogni alimentari ma anche il soddisfacimento di ulteriori esigenze, relative al tenore di vita (cfr. C. Cost. n. 31/86), mentre nel primo comma, il medesimo Costituente ha voluto garantire alla platea indifferenziata dei cittadini, il minimo essenziale, cioè i soli mezzi necessari per vivere.

59. Può, pertanto, concludersi che le ipotesi tipiche individuate dall’art. 38 Cost., se richiamano entrambe l’idea di sicurezza sociale, sono tuttavia distinte, in quanto realizzano in modo diverso uno stesso scopo: l’art. 38 comma 1 Cost. è volto ad apprestare ai cittadini in generale, che siano in situazioni di bisogno (per inabilità al lavoro o per essere sprovvisti dei mezzi necessari per vivere), alcune garanzie attraverso il ricorso alla collettività; mentre offre ai lavoratori in situazioni significative (infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia, disoccupazione involontaria) altre e più elevate garanzie, attraverso il concorso degli stessi lavoratori e dei datori di lavoro.

60. Poiché il trattamento d’integrazione al minimo è concesso anche nei casi di cumulo di pensioni ovvero di pensione e lavoro retribuito (vedi punto 38), all’evidenza esso non costituisce una pensione sociale (oggi assegno sociale, in favore dei cittadini ultrasessantacinquenni, sprovvisti di reddito, in caso di effettiva ricorrenza dello stato di bisogno), che serve a garantire in maniera indifferenziata, il “minimo vitale” a tutti i cittadini, bensì costituisce uno strumento atto ad offrire, come detto, “mezzi adeguati alle esigenze di vita” dei lavoratori (Corte Cost. n. 31/1986).

61. Deve concludersi che se compete indubitabilmente alla discrezionalità del legislatore di definire in concreto il livello dei trattamenti pensionistici, anche al fine di garantirne la sostenibilità nel tempo, non di meno la Corte Costituzionale ha più volte rilevato come tali trattamenti debbano in ogni caso assicurare un quid pluris, rispetto all’importo delle prestazioni assistenziali, in forza del precetto del secondo comma dell’art. 38 Cost.

62. Più specificamente, proprio esaminando l’istituto della pensione minima (o integrata al minimo), il Giudice delle leggi ha rilevato come la funzione di detto istituto riconducibile al secondo comma dell’art. 38 della Costituzione e parzialmente derogatoria del principio di proporzionalità della pensione ai contributi versati a vantaggio del principio di solidarietà (Corte Cost. nn. 240/94, 31/86, 184/88, 15/94, 119/97, 34/81, 152/20), non coincide con quella assegnata agli interventi quali ad esempio la pensione sociale, richiesti dal primo comma dell’art. 38 Cost., giacché i mezzi necessari per vivere non possono identificarsi con i mezzi adeguati alle esigenze di vita: come detto prima, questi ultimi comprendono i primi ma non si esauriscono in essi (cfr. Corte Cost. n. 119/94).

63. Il principio di adeguatezza costituisce, quindi, prima che un parametro quantitativo, un fondamentale requisito qualitativo delle prestazioni previdenziali, atteso che una prestazione inadeguata alle esigenze di vita non sarebbe idonea a realizzare quella più intensa tutela che il secondo comma dell’art. 38 Cost. riconosce ai lavoratori, in considerazione del contributo di benessere offerto alla collettività, oltreché delle contribuzioni previdenziali prestate (Corte Cost. n. 31/86 cit.).

64. In questa prospettiva, va senz’altro respinta la tesi dell’Inps secondo la quale la tutela delle adeguate esigenze di vita va valutata nel complesso delle prestazioni previdenziali di cui l’interessato può fruire, e non va valutata in ragione del singolo trattamento, al fine di verificare la spettanza dell’integrazione: infatti, ritiene questa Corte di Cassazione che ogni prestazione mira a garantire oggettivamente lo specifico bisogno ad esso sotteso, in sé considerato e distinto da eventuali altri, rispetto alle necessità particolari di ogni singolo soggetto, mentre è la stessa legge che rileva eventuali casi di incompatibilità dei trattamenti fruiti.

65. In proposito va richiamata la giurisprudenza della Corte Costituzionale secondo cui l’integrazione al minimo spetta anche quando, tramite il cumulo di più prestazioni previdenziali, non si raggiunga il reddito fissato dalla legge al fine di escludere il diritto all’integrazione (cfr. Corte Cost. n. 184/88, nel caso di percezioni di più pensioni dirette, n. 15/94, in tema di integrazione al trattamento minimo dei percettori di più pensioni di reversibilità; ancora, in Corte Cost. n. 31/86 si è constatato che leggi, giurisprudenza e prassi amministrativa hanno enucleato situazioni nelle quali il trattamento minimo delle pensioni dei lavoratori è stato riguardato sotto un profilo oggettivo, quale garanzia, cioè, che la prestazione pensionistica abbia comunque un determinato livello minimo, a prescindere dalle effettive condizioni soggettive del destinatario, con il che, si è ritenuto giustificato l’intervento solidaristico anche nelle ipotesi in cui i bisogni vitali del pensionato certamente risultavano altrimenti soddisfatti; v. ancora Corte Cost. n. 119/97).

66. Sulla base di ciò, può senz’altro affermarsi che l’integrazione al minimo è il modo con cui la legge attua il precetto costituzionale di assicurare ai lavoratori adeguate esigenze di vita e, quindi, ad avviso del Collegio, si vìola tale precetto se non si garantisce l’integrazione al minimo. La previsione dell’integrabilità dell’assegno di invalidità (comunque calcolato) vale proprio ad assicurare il rispetto del canone costituzionale di adeguatezza (art. 38 comma 2 Cost.) a fronte di una prestazione che per la natura della sua fattispecie costitutiva potrebbe altrimenti determinare l’attribuzione ai lavoratori beneficiari di somme del tutto inidonee alle loro esigenze di vita, quando non meramente simboliche e, comunque, in alcuni casi, come quello di cui è processo, inferiori al quantum delle prestazioni assistenziali, liquidate in relazione ad eventi analoghi.

67. Alle argomentazioni sin qui svolte, consegue che deve dichiararsi rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 comma 16 della legge n. 335/95, in combinato disposto con l’art. 1 comma 3 della legge n. 222/1984, in riferimento agli artt. 3 e 38 comma 2 Cost., nella parte in cui non prevede la corresponsione dell’integrazione al minimo dell’assegno ordinario di invalidità, in presenza dei requisiti contributivi e reddituali previsti, che sia calcolato interamente con il sistema cd. contributivo.

68.Conclusivamente, a norma della L. 11 marzo 1953, n. 37, art. 23, si dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la sospensione del presente procedimento. La cancelleria provvederà alla notifica di copia della presente ordinanza alle parti e al Presidente del Consiglio dei ministri e alla comunicazione della stessa ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.»

Allo stato, la previsione dell’opzione al sistema di calcolo contributivo con integrazione al trattamento minimo, a me sempre in contrasto con la legge 335/1995, però va seguita la vicenda pendente alla Corte Costituzionale perché, se venisse dichiarata l’incostituzionalità dell’art. 1, comma 16, della legge n. 335/1995, si potrebbe validamente argomentare la sostenibilità sul punto dell’impianto riformatore.

Non v’è chi non veda come la questione abbia risvolti economici molto pesanti e vedremo quindi quali bilanciamenti la Corte Costituzionale andrà a prendere.

Certo è che la questione è rilevante perché, come ha scritto il Collega Giancarlo Renzetti, su CFNews del 02.10.2024, “Oltre il 40% degli iscritti dichiara redditi professionali inferiori ad € 20.000,00 annui e il minimo soggettivo ad € 2.750,00 copre il dovuto per chi dichiara un reddito sino ad € 17.190,00 in base all’aliquota del 16% in vigore dal prossimo anno”.

La riforma ha poi introdotto la decontribuzione sui minimi che la riforma precedente aveva aumentato per meglio finanziare le pensioni minime che in Cassa Forense sono molte.

Il “mentore” della riforma è stato il prof Alberto Brambilla il quale in un recente articolo sul Corriere della sera ha però scritto “Perché continuare a percorrere la (costosissima, oltre che poco produttiva) strada delle decontribuzioni?

Ha cambiato idea Lui o i Delegati non lo hanno ascoltato?

La riduzione della contribuzione minima creerà solo l’illusione di poter stare nel sistema evitando di affrontare, finalmente, il problema della eccessiva numerosità di una categoria ormai al collasso quanto a redditività e appetibilità, per essersi ormai divaricata, in modo irreversibile, la forchetta tra pochi ricchi (7% del totale) e moltissimi poveri, destinati - come ho già scritto nel precedente arresto - all’assegno sociale.

L’avvocatura italiana è divenuta un problema sociale, inutile negarlo, nel disinteresse però generalizzato della politica e qui sta il problema in tutta la sua drammaticità di fronte alle già tante cancellazioni, perché alla professione si arriva dopo anni e anni di studio con ingenti investimenti finanziari da parte delle famiglie, pratica sul campo, tante aspettative e esame di Stato.

Per decenni l’avvocatura ha svolto un ruolo di ammortizzatore sociale e ora si trova “sedotta e abbandonata” per usare una espressione colorita anche se la politica guarda sempre al patrimonio delle Casse di Previdenza per fare cassa.

Per valutare la sostenibilità del sistema cosi riformato, che non può essere di 30 anni come ho visto scritto ma di 30 più 20, ho bisogno di esaminare il bilancio tecnico non ancora cognito.

La previdenza, come vado scrivendo da molte lune, è una materia molto complessa per l’effetto “domino” che la caratterizza ad ogni intervento riformatore.

Quando sarà disponibile l’articolato potrò offrire ulteriori spunti di riflessione.