CASSA FORENSE. CANCELLATA L'IDEA DI PENSIONE DI INVALIDITÀ INTRODOTTA NEL 2010

Bologna, 10 aprile 2025. Di Francesco Bacchi, avvocato.
Un numero imprecisato di avvocati invalidi potrebbe vantare un credito nei confronti di Cassa Forense.
Tacere la questione così da lasciare che il loro diritto si prescriva perché loro non sanno, non hanno capito, è accettabile?
Pare impossibile che Cassa Forense abbia disapplicato uno o più articoli del Regolamento per le prestazioni previdenziali e del Regolamento unico della previdenza forense, nel testo in vigore fino al 31 dicembre 2024, negando agli invalidi aventi diritto l’integrazione al minimo dell’assegno pensionistico loro corrisposto;
è quindi necessario procedere all’analisi testuale dell’art. 10 terzo comma del Regolamento per le prestazioni previdenziali (in vigore dal 1° gennaio 2010) che così recitava:
“La misura della quota di base della pensione è pari al 70% di quella risultante dall'applicazione dell'art. 4 e non può essere inferiore al 70% della pensione prevista dall’art. 5, 1° comma per l’anno della decorrenza.
La quota modulare verrà liquidata, a norma dell’art. 6, al compimento dell’età anagrafica prevista dall’art. 2 o al momento della cancellazione del pensionato da tutti gli albi , se antecedente”.
Identico era il contenuto del terzo comma dell’art. 54 del Regolamento unico della previdenza forense, ove cambiava soltanto la numerazione degli articoli, ma non il contenuto delle norme che disciplinavano le diverse categorie di pensionati.
L’espressione “la misura della quota di base della pensione” è il soggetto sia della prima che della seconda frase (cioè la coordinata introdotta dalla congiunzione “e”) del primo periodo di detto terzo comma.
Pertanto, se la frase coordinata avesse il soggetto espresso e non sottinteso sarebbe scritta nel seguente modo: e la misura della quota di base della pensione “non può essere inferiore al 70% della pensione prevista dall’art. 5, 1° comma per l’anno della decorrenza”.
Potrebbe apparire poco rispettoso nei confronti del lettore avvezzo ad analisi di testi e concetti giuridici ben più complessi, ma si vuole sottolineare la facilità di lettura del menzionato comma ove si utilizzi la analisi logica elementare appresa da chiunque in ambito scolastico.
Il terzo comma dell’art. 10 del Regolamento per le prestazioni previdenziali rimandava al precedente art. 5 primo comma (nel Regolamento unico della previdenza forense l’art. 5 divenne l’art. 48), con cui si quantificava l’importo che costituiva integrazione al trattamento minimo pensionistico, slegando così l’importo della pensione dal contributo minimo soggettivo a carico degli iscritti:
“Su domanda dell’avente diritto, qualora applicando i criteri di calcolo di cui agli artt. 4, 6 e 14 del presente regolamento la pensione annua sia inferiore ad € 10.160,00, preso come base l’anno 2008, è corrisposta un’integrazione sino al raggiungimento del suddetto importo”.
Il terzo comma di detto art. 5 recitava: “L’integrazione al trattamento minimo compete solo nell’ipotesi in cui il reddito complessivo dell’iscritto e del coniuge, non legalmente ed effettivamente separato, comprensivo dei redditi da pensione nonché di quelli soggetti a tassazione separata o a ritenuta alla fonte, non sia superiore al triplo del trattamento minimo.
Essa compete solo sino al raggiungimento del reddito complessivo massimo pari a tre volte il trattamento minimo di cui sopra, salvo quanto previsto al comma 4 del presente articolo”. La disciplina è rimasta invariata nel terzo comma dell’art. 48 del Regolamento unico della previdenza forense, testo in vigore fino al 31 dicembre 2024.
La possibilità per l’iscritto di ottenere l’integrazione al minimo del trattamento pensionistico veniva espressamente esclusa solo per la pensione di vecchiaia contributiva:
“La pensione di vecchiaia contributiva non prevede la corresponsione dell’integrazione al minimo di cui all’art. 5” (così disponevano il Regolamento per le prestazioni previdenziali, art. 8, secondo comma, ultimo periodo ed il Regolamento unico della previdenza forense, art. 51, secondo comma, ultimo periodo).
Le norme tutte sopra menzionate evidenziano che i regolamenti previdenziali di Cassa Forense in vigore dal 1° gennaio 2010 al 31 dicembre 2024 erano improntati al principio di solidarietà endo-categoriale (intersoggettiva tra iscritti alla Cassa), ed erano quindi volti alla tutela soprattutto delle categorie di pensionati più svantaggiati (inabili ed invalidi) e di familiari ed eredi degli iscritti defunti (pensioni di reversibilità ed indirette).
Sempre per favorire una corretta interpretazione sistematica dell’articolato dei regolamenti previdenziali va anche ricordato che, vista la natura privatistica di Cassa Forense (come degli altri enti previdenziali privatizzati), ove l’iscritto lamenti una errata applicazione dei regolamenti previdenziali, fermo il controllo di legittimità diffusa operato dai giudici di merito, avanti alla Suprema Corte potrà dedurre esclusivamente la violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, ai sensi degli articoli 1362 e seguenti del codice civile (in tal senso, Corte di Cassazione Lavoro nn. 27541/2020 e 31000/2019).
Tra le norme di ermeneutica contrattuale cui fa rimando la Suprema Corte, data la modalità in cui si esplica il rapporto tra Cassa ed iscritto, certamente va applicato l’articolo 1370 c.c. intitolato “Interpretazione contro l’autore della clausola”.
Al riguardo, è utile rammentare che il modulo/formulario predisposto da Cassa Forense per le domande di pensione di inabilità e di invalidità all’indomani della entrata in vigore del Regolamento per le prestazioni previdenziali e rimasto in uso per diversi anni riportava, sia per la domanda di pensione di inabilità, sia per la domanda di pensione di invalidità, anche la seguente richiesta:
“l’integrazione al trattamento minimo, ai sensi dell’art. 12, co. 5, del Regolamento per le Prestazioni Previdenziali, nel caso in cui l’ammontare complessivo della quota di base del trattamento sia inferiore al trattamento integrato al minimo pensionistico”.
L’integrazione al trattamento minimo della pensione poteva e può essere concessa esclusivamente su domanda dell’avente diritto e, quindi, anche i beneficiari della pensione di invalidità dovevano e devono richiederla.
Il richiamato art. 12 quinto comma, relativo alle pensioni di reversibilità e indirette, disponeva: “L’ammontare complessivo della quota di base del trattamento non può essere inferiore al trattamento integrato al minimo pensionistico di cui all’art. 5, 1° comma del presente Regolamento, previsto per l’anno di decorrenza”.
Pertanto anche la integrazione al minimo pieno della pensione richiedevano, depositando domanda di accesso al rispettivo beneficio, sia gli aspiranti pensionati di inabilità che gli aspiranti pensionati di invalidità.
Chi conosce colleghi pensionati di invalidità che al momento del riconoscimento del beneficio non avevano maturato una contribuzione sufficiente per arrivare ad un trattamento pensionistico superiore a quello previsto quale integrazione al minimo della pensione per l’anno di decorrenza, potrà verificare che l’importo della pensione loro corrisposta è limitato al solo 70% della pensione integrata al minimo di tale anno di decorrenza, non venendo loro riconosciuta una integrazione al minimo pieno della pensione, qualsiasi sia il loro reddito dal momento del pensionamento.
In pratica, la disposizione dell’art. 5 terzo comma del Regolamento per le prestazioni previdenziali (poi art. 48 terzo comma del Regolamento unico della previdenza forense) è considerato non applicabile agli avvocati andati in pensione prematuramente, a causa di patologie gravemente invalidanti, sia che abbiano proseguito, sia che abbiano cessato l’esercizio della professione, cancellandosi dall’albo.
Cassa Forense ha, cioè, ritenuto di applicare i propri regolamenti previdenziali dando del fondamentale istituto della integrazione al trattamento minimo una lettura non univoca, ma stabilendo, di fatto, nei confronti dei pensionati di invalidità, una applicazione altra e diversa dell’istituto, non testuale e non conforme a quella sancita dall’art. 5 del Regolamento per le prestazioni previdenziali.
Relativamente ai pensionati di invalidità Cassa Forense ha modificato la formula: “calcolo della quota di base della pensione + quota modulare + importo variabile per giungere alla somma del trattamento integrato al minimo = importo pensione erogata” e, pur in mancanza di una espressa esclusione del diritto alla integrazione al trattamento minimo pieno a favore degli invalidi, ha applicato la formula: “calcolo della quota di base con elevazione fino al 70% del trattamento minimo = importo pensione di invalidità non più ulteriormente aumentabile”.
Il ragionamento sotteso al diniego di integrazione al trattamento minimo pieno della pensione a favore del pensionato di invalidità non può essere che il seguente:
a fronte di una contribuzione insufficiente viene comunque pagata una pensione pari al 70% di quella integrata al minimo nell’anno di ammissione al beneficio;
il portare l’assegno pensionistico fino a quel 70% costituisce l’integrazione al minimo concessa al pensionato di invalidità, qualunque sia il suo reddito personale e cumulato con quello del coniuge non separato.
Il ragionamento in sé può avere un senso, dati i poteri regolamentari di Cassa Forense, ma allora perché ha predisposto quella modulistica ed ha conservato quei regolamenti previdenziali così formulati per tre lustri?
Certamente l’ente non può giustificare una prassi applicativa anti-testuale dichiarando semplicemente di avere errato nella formulazione dei regolamenti e di avere predisposto una modulistica sbagliata.
Sarebbero giustificazioni surreali.
Il cambiamento della sola modulistica predisposta per la domanda di invalidità, a regolamenti invariati, peraltro, cambia la documentazione in possesso dell’iscritto invalido lasciando immutato il diritto sancito nei regolamenti previdenziali, regolamenti che quell’avvocato invalido non è detto si sia cimentato ad interpretare, soprattutto perché le diverse guide ed i diversi corsi di aggiornamento basati su materiale prodotto da Cassa Forense gli hanno ribadito per anni, in modo semplicistico, che la pensione di invalidità (ove la contribuzione dell’avente diritto sia bassa) è pari al 70% della pensione di inabilità o al 70% della pensione minima.
Con il nuovo Regolamento unico della previdenza forense in vigore dal 1° gennaio 2025 Cassa Forense ha, però, compiuto un atto fondamentale utile a consentire ai vecchi pensionati di invalidità di prendere finalmente coscienza dell’esistenza del diritto alla integrazione al minimo pieno del trattamento pensionistico loro concesso.
Il terzo comma del nuovo art. 75 (pensione di invalidità) del Regolamento unico della previdenza forense in vigore dal 1° gennaio 2025 recita:
“La misura della pensione è pari al 70% di quella risultante dall’applicazione dell’art. 64, comma 1, lettere a) e b). La pensione così calcolata può essere integrata, in presenza di tutti i requisiti, fino al 70% dell’importo del trattamento minimo di cui all’art. 72.
La quota modulare verrà liquidata, a norma dell’art. 70, al compimento del settantesimo anno di età o al momento della cancellazione del pensionato da tutti gli Albi, anche per causa di morte, se antecedente” .
L’interprete non potrà non notare che nella vecchia formulazione si parlava di “misura della quota di base della pensione non inferiore al”, mentre nella nuova formulazione si parla di “misura della pensione integrata fino al”.
Si passa dalla individuazione del minimo della pensione di invalidità, nel vecchio testo, alla determinazione della misura massima di integrazione della pensione di invalidità (sussistendo i requisiti che ne impediscono la determinazione in una misura ancora inferiore).
Sono, quindi, i dati testuali inequivocabili a chiarire all’interprete che se Cassa Forense avesse voluto prevedere (ante 1° gennaio 2025) che la pensione di invalidità non poteva essere superiore al 70% della pensione integrata al minimo avrebbe dovuto scriverlo, non sottintenderlo disapplicando parte dei propri regolamenti.
Quando Cassa Forense ha voluto portare il tetto, non la base, della pensione di invalidità al 70% del trattamento minimo, ha scritto che la misura della pensione può essere integrata fino a quel 70%.
Prima, invece, disponeva che la quota di base della pensione di invalidità non poteva essere inferiore al 70% del trattamento integrato al minimo.
Stabilita la base della pensione di invalidità, la variabile determinante la sua eventuale elevazione fino al trattamento minimo pieno era costituita dallo specifico reddito familiare dell’avvocato invalido.
Si è esordito con l’analisi logica di un periodo e si conclude evidenziando come nei vecchi regolamenti si parlava della base e nel nuovo del tetto, per ribadire l’impossibilità di applicare norme chiare in modo difforme da quanto il loro contenuto evidenzia: non si può cambiare una formula (quella che portava alla integrazione al minimo pieno della pensione), cancellando così un diritto essenziale (solo parzialmente modulabile e comprimibile almeno fino a quando rimarrà in vigore l’art. 38 della Costituzione), senza che una norma espressamente preveda la sua cancellazione, né si possono considerare equivalenti, nel seguire un percorso logico-argomentativo, la base e il tetto, la partenza e l’arrivo.
Non è semplicemente cambiato, quindi, il criterio di determinazione della pensione da concedersi all’avvocato invalido, è stata cancellata l’idea di pensione di invalidità introdotta nel 2010, che con un approccio solidaristico sanciva la necessità di garantire anche ai pensionati invalidi di Cassa Forense l’integrazione al trattamento minimo, anche in forza di una visione costituzionalmente orientata, anche aborrendosi la creazione di sotto-minimi sottaciuti .
Da quanto esposto deriva che Cassa Forense, vista la differenza tra la vecchia e la nuova disciplina da essa predisposta, non potrà più sostenere che le vecchie pensioni di invalidità erano già integrate al minimo se l’importo erogato era stabilito – comunque e a prescindere dal reddito del beneficiario - in misura pari al solo 70% del trattamento integrato al minimo.