ALESSANDRO CARRERA: LA VOCE DI BOB DYLAN. UN RACCONTO DELL`AMERICA.
15 luglio 2021. Di Giannina Puddu Alessandro Carrera, scrittore, saggista, traduttore, cantautore e docente universitario a Milano e Houston, secondo autorevoli commentatori, conosce l`opera di Bob Dylan meglio di chiunque altro. Al mondo.
E, su Dylan, in effetti, ha fatto un lavoro di scandaglio oggettivamente imponente.
Chi volesse conoscere Dylan non potrebbe fare a meno di conoscere Carrera e la sua indagine paziente, costante ed appassionata del `profeta`.
Quando un uomo, uno `studioso`, si dedica con tale profondità alla conoscenza di un altro essere umano attraverso l`approfondimento scientifico della sua opera, ne riconosce e ne celebra `l`umanità` espressa ai massimi livelli.
Questo, induce alla conoscenza dell`uno e dell`altro ai quali possiamo avvicinarci, come quando fa caldo, ad una sorgente d`acqua pura, fresca e tonificante.
Ho avuto l`onore ed il piacere di intervistare il prof. Alessandro Carrera.
1) Prof. Carrera, lei ha pubblicato, nel tempo, un trittico che raccoglie la sua traduzione dei testi delle canzoni di Bob Dylan.
Il primo, Lyrics 1961-1968, il secondo, Lyrics 1969–1982; il terzo, Lyrics 1983–2020. Viene da pensare che lei sia entrato, anche fisicamente, nei testi di Dylan per poterne rendere, in italiano, il senso fedele senza perderne la poesia. Pare si tratti di circa 500 pezzi. Uno sforzo titanico. Perché lo ha fatto?
I tre libri raccolgono 400 canzoni.
Perché l’ho fatto?
Perché era una sfida meravigliosa, anche se in molti sensi impossibile da vincere.
Per tradurre veramente una canzone bisognerebbe tradurla come si faceva una volta con i libretti d’opera, in rima e metrica, così da poterla cantare sulla stessa musica nella lingua in cui è stata tradotta.
Ma nel caso di Dylan questo sarebbe stato possibile solo stravolgendo il testo, allontanandosi molto dall’originale, e questo non lo volevo fare, perché di traduzioni stravolte ce ne sono già state.
Quella che mancava era una traduzione in cui si capisse, in italiano, quello che Dylan davvero dice. Ma Dylan dice molte cose nello stesso tempo, usa doppi sensi, allusioni e giochi di parole a non finire.
Per questo motivo la traduzione non bastava, bisognava anche aggiungere molte note esplicative in fondo al libro, che sono state un lavoro più difficile della traduzione.
2) Il 20 maggio 2021 ha pubblicato anche LA VOCE DI BOB DYLAN. UN RACCONTO DELL’AMERICA.
Nell’anteprima delle sue opere ho letto, tra l’altro, una sua osservazione relativa alla musica di Dylan: “Non poesia in musica, solo e pienamente: poesia.”
E’ una magnifica sintesi.
La poesia è poco letta, ancor meno di altro.
Lei crede che, nella nostra epoca, la poesia sia ascoltata anziché letta, come nel caso di Dylan?
Se è vero, la poesia ha raggiunto un livello di popolarità e gradimento enorme, nonostante le apparenze, grazie alla musica che se la porta in spalla?
Quella frase, “Non poesia in musica, solo e pienamente: poesia”, non l’ho scritta io.
Può essere stata usata a scopo pubblicitario, ma io la penso in un altro modo, e in un certo senso sono più conservatore.
Penso che Dylan sia un grande autore di canzoni, non necessariamente un “grande poeta” in senso tradizionale, perché le canzoni sono una forma d’arte autonoma dalla poesia scritta, anche se con la poesia hanno molto a che fare.
Ci sono alcuni paesi in cui la poesia ha avuto un calo di lettori mentre contemporaneamente è cresciuto a dismisura il numero di coloro che scrivono poesie.
In altri paesi, invece, un simile calo non c’è stato. In assenza di lettori di poesia, la “poesia per musica” ha svolto un grande ruolo, e nessuno come Dylan ha saputo incarnarlo. Anche in Italia, nessun cantautore italiano raggiunge i livelli dei grandi poeti del Novecento, ma se uno ascolta canzoni con una bella musica, un bel testo e una bella voce (perché anche la voce conta), forse comincerà a sentire anche la musica della poesia scritta, alla quale sarà lui, o lei, a dover dare una voce, anche se silenziosa, solo nella sua testa.
3) Ed ancora,
“Quello che milioni di lettori nel mondo già sentivano e sapevano è stato riconosciuto universalmente quest`anno grazie al premio Nobel 2016 per la letteratura, attribuito a Dylan nel fragore di una discussione che ha travolto il mondo della cultura, ‘per aver creato una nuova espressione poetica nell`ambito della tradizione della grande canzone americana’. “
Dylan pare essere un intellettuale complesso e, per questo, dovrebbe risultare inaccessibile alle masse.
Invece, “la gente”, ne ha colto il valore, ha anticipato il Nobel, condividendone i messaggi così da essere Dylan, “il profeta”.
Si può credere che la musica sia in grado di arrivare al cuore delle persone e che le aiuti a decriptare un testo colto e quindi ciò che la loro mente razionale non potrebbe raggiungere in quanto non adeguatamente attrezzata?
La musica ha il potere di parlare abbattendo le barriere culturali e, quindi, di condizionare il pensiero collettivo?
Dylan è complesso, ma non è un intellettuale.
Legge moltissimo, ma non è un uomo colto nel senso tradizionale di qualcuno che ha seguito fino in fondo il curriculum scolastico.
In gran parte, è un autodidatta. Certamente la musica ha aiutato la gente ad avvicinarsi ai suoi testi, ad ascoltarli e cantarli ancora prima di scandagliarne i significati.
La musica può abbattere le barriere culturali.
Blowin’ in the Wind è stata ascoltata in tutto il mondo, anche da chi non parlava l’inglese e sapeva soltanto che era una canzone contro le guerre e le ingiustizie.
Poi sono venute le traduzioni, le versioni in varie lingue, ma il primo impatto era quello della musica e, non dimentichiamolo, la voce, che nel caso di Dylan non è una voce “bella” ma è una voce “giusta” per quello che ha da dire.
4) È questa, secondo lei, la ragione per cui, Joseph Ratzinger (cardinale, all` epoca Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e in un raro contrasto con `il suo amato predecessore` Wojtyla) non voleva che il cantautore/profeta Usa si esibisse davanti a Wojtyla al concerto che si tenne a Bologna in occasione del Congresso Eucaristico, il 27 settembre del 1997?
Quale messaggio in particolare, secondo lei, Ratzinger temeva fosse veicolato da Dylan in un evento organizzato dal Vaticano?
A quel concerto non c’era solo Dylan.
Se non sbaglio c’erano anche Gino Paoli, Lucio Dalla e altri.
Non se ne sarebbe parlato così tanto se non ci fosse stato anche Dylan, ma credo che Ratzinger fosse contrario soprattutto all’elemento di spettacolarizzazione che il “concerto rock” porta con sé (spettacolarizzazione che invece Giovanni Paolo II amava molto).
Temeva insomma che il messaggio più propriamente religioso del convegno sarebbe andato perduto.
Ratzinger suona il pianoforte, al quale esegue solo Bach e Mozart, o così almeno si dice.
Immagino che non avesse nessuna intenzione di colmare lo spazio che lo separava da Dylan, e forse lo disturbava il fatto che Dylan sia sempre stato definito un “profeta” (appellativo che Dylan non ha mai amato, anzi!).
Però in quel caso non aveva ragione di temere, perché Giovanni Paolo II nel discorso successivo al concerto ha dato la sua interpretazione “scritturale” di Blowin’ in the Wind, ricordando che l’unico vento che veramente soffia è lo Spirito Santo.
Si può essere d’accordo oppure no, ma certamente è stata una bella mossa. E siccome Dylan è a suo modo religioso, tra ebraismo e cristianesimo, e conosce bene la Bibbia, può darsi che l’interpretazione del Papa non gli sia dispiaciuta.
5) Dylan pare un poeta capace di non essere insopportabile. Giusto?
Immagino che lei si riferisca al mio libro, I poeti sono impossibili.
Come fare il poeta senza diventare insopportabile, vero?
È uscito nel 2005, e in una seconda edizione accresciuta nel 2016, pochi mesi prima che Dylan ricevesse il Premio Nobel.
Leggendo le sue biografie, pare di avere a che fare con un uomo difficile, molto umorale, e che ogni mattina – parole sue – si sveglia come se fosse una persona diversa.
Può darsi insomma da vicino non lo si possa sopportare molto a lungo, ma questo io non lo so, perché di persona non lo conosco.
Quello che so, perché lo si vede dalle sue opere, è che è stato fedele a se stesso e alla sua ispirazione per tutta la sua vita, ed è questa coerenza che mi ha spinto a tornare continuamente a lui, ormai da molto tempo, perché lo ascolto da cinquant’anni.