AMISTAD. DI SPIELBERG
Milano, 24 febbraio 2022. Di Nicola Gigante
“Il razzismo spiegato a mia figlia” di Tahar Ben Jelloun è il secondo libro più venduto su Amazon, in Italia, nel febbraio 2022.
Balzato agli onori della cronaca grazie al Festival di Sanremo, il saggio, scritto sotto forma di un dialogo domanda-risposta tra l'autore franco marocchino e la figlia di dieci anni Mérième, è stato pubblicato per la prima volta nel 1998 da Bompiani, tradotto in oltre venti lingue e premiato dalle Nazioni Unite.
È bastato il recentissimo festival della canzone italiana a far scattare la scintilla.
Il monologo di Lorena Cesarini è passato meno inosservato di quanto si pensasse.
“Banale!” lo hanno definito alcuni; “Politically correct!” hanno detto altri.
Eppure, la confessione dell’attrice romana ha toccato molte coscienze…
Ho avuto una vita tranquilla, nella vita faccio l’attrice”, ha esordito.
Poi ha raccontato: “Fino ad oggi, a scuola, sul tram, a lavoro, nessuno aveva mai sentito l’urgenza di dirmi che avessi la pelle nera.
E invece, quando Amadeus ha dato la splendida notizia che sarei stata qui, certe persone hanno sentito proprio questa urgenza. Evidentemente per alcuni il mio colore della pelle è un problema.
Io non sono qui per darvi una lezione, non ne sarei neanche capace.
Sono una persona che quando non sa una cosa va subito a informarsi. Amo leggere e informarmi.
Come ho fatto ad esempio con l’autore di questo libro qui: lui è Tahar Ben Jelloun, è uno scrittore marocchino.
“Il razzismo spiegato a mia figlia” parte con il quesito innocente della figlia dell’autore: ‘Babbo: che cos’è il razzismo?’.
Tanti sono i risvolti e le spiegazioni date da Ben Jelloun, ma mi sento di soffermarmi su alcuni concetti come: ‘Consiste nel manifestare diffidenza e poi disprezzo per le persone che hanno caratteristiche fisiche e culturali diverse dalle nostre’ oppure ‘Il razzismo crede che lo straniero appartenga ad una razza inferiore ma ha completamente torto’ o ancora, ‘Babbo, ma i razzisti possono guarire?
La guarigione dipende da loro, se uno si pone delle domande, se dice: può darsi che io abbia torto di penare come penso.
Perché quando uno riesce ad uscire dalle proprie convinzioni va verso la libertà’.
Pensate forse che questi concetti siano stati ripresi solo ora?
Che siano triti e ritriti?
O che siano già stati esposti secoli prima?
Un anno prima della prima edizione del libro di Ben Jelloun, nelle sale cinematografiche fa breccia un titolo tanto pluripremiato quanto semisconosciuto: “Amistad”, film della Dreamworks prodotto e diretto da Steven Spielberg.
La pellicola riprende alcuni eventi del 1839, in particolare l’ammutinamento di una quarantina di schiavi africani appartenenti alla tribù Mende della Sierra Leone a bordo della nave negriera “Amistad”, di proprietà spagnola.
Il gruppo dei Mande, guidato da Joseph Cinque, approda a New Heaven, Connecticut; processati nel tribunale locale, essi verranno difesi in più giudizi (prima dal giovane avvocato Roger Baldwin, poi dall’ex presidente statunitense John Quincy Adams) dalle accuse di omicidio ed ammutinamento dell’equipaggio degli spagnoli Ruiz e Montes, che in realtà agivano illegalmente.
Non è la solita storia di schiavitù e di tratta degli africani.
Non si tratta solo di vicende storiche e tensioni politiche internazionali: in “Amistad” figurano fortemente elementi come l’empatia, la questione dell’altro e questioni antropologiche e culturali di grande rilievo.
“Amistad” è un case study del colonialismo messo in atto dalle potenze europee occidentali durante l’età moderna.
Svela e narra implicazioni giuridiche, economiche, politiche, belliche e morali i cui risvolti cambieranno, al tramonto del film, la storia degli Stati Uniti d’America, dei rapporti tra le potenze europee e gli africani stessi.
Lo schiavismo, che avrà influenze culturali forti sulla società del Nuovo Mondo (basti pensare al Brasile come terra di approdo del più alto numero di schiavi e uno degli ultimi Paesi ad arrendersi all’abolizionismo), era praticato per riuscire a garantire principalmente una manodopera agricola.
Una questione non di poco conto, considerando l’incompatibilità di queste varie differenti culture, come viene contrariamente esposto in molte altre trasposizioni cinematografiche. Il “problema dell’altro” evocato dal film, infatti, si riferisce all’interazione fra coloro che prendono parte alla vicenda.
C’è una difficoltà di base nella comunicazione e nella comprensione dell’altro, nella comprensione di un’altra cultura e di un’altra lingua.
Ci sono delle complicazioni nella comprensione della diversità e nella mancanza di empatia, quella che alla fine troveranno invece Cinque e Baldwin ringraziarsi vicendevolmente, con parole e gesti appresi l’uno dall’altro durante il processo.
L’empatia e la questione dell’altro sono vissute pienamente dall’avvocato Roger Baldwin, che si rivela essere, fin da subito, un personaggio di più alta caratura morale ed umana rispetto agli altri:egli cerca costantemente il contatto con il suo assistito Cinque, rinunciando alle sue abitudini per comprendere la sua storia.
Dall’altra parte, Cinque, con una stretta di mano sul petto di Baldwin si dispone apertamente alla conoscenza del suo avvocato “bianco”.
La colonna sonora del film è importante.
I punti di contatto tra neri e bianchi vengono messi in evidenza dalle musiche di John Williams: le storie ed i percorsi di occidentali ed africani sono parallele e contraddistinte dalla singolarità delle musiche e degli strumenti tipici delle due culture; ciò genera tensione durante i flashback dei membri della tribù, veri e propri pugni nello stomaco.
Durante i titoli di coda, però, a testimonianza di una contaminazione ben riuscita e di una collaborazione salvifica, le due culture musicali coesistono creando un effetto di unione e pariteticità tra le culture.
Il tema “Going Home” è capace, infatti, di conferire una serenità e quel senso di compiuto alla narrazione che tutti si aspettano.
Forse anche di più: la mescolanza dei diversi generi musicali sembra far da preludio alle sintesi musicali interetniche del ventesimo e ventunesimo secolo, con ritmi che ad oggi si direbbero virali (il caso più recente ed eclatante è probabilmente “Jerusalema”, del 2020).
‘Quando uno riesce ad uscire dalle proprie convinzioni va verso la libertà’ dice Ben Jelloun.
E allora vi chiedo: come immaginereste il mondo, la civiltà e la musica se la globalizzazione fosse avvenuta già tre secoli fa?