ALTRI BANCHIERI, ALTRE BANCHE, ALTRA ITALIA...

Giannina Puddu, 5 maggio 2023.

Nella Milano degli anni '70, '80 e 90', la presenza di Enrico Cuccia si avvertiva nell'aria, particolarmente nell'ambiente finanziario nel quale vivevo.

Una presenza silenziosa, severa, autorevole, potente tra i potenti.

Nella Finanza milanese e italiana di allora, Cuccia era Cuccia eppoi c'era tutto il resto, semplicemente...

Cuccia non amava le chiacchiere, evitava i riflettori della stampa e si concentrava solo sui fatti, determinandoli con l'efficacia di un bisturi che maneggiava con maestria.

Si sapeva a Milano, che Enrico Cuccia, come uno qualunque, avesse l'abitudine di andare in ufficio a piedi.

Da via Mascagni dove viveva a via Filodrammatici.

Il ricordo è quello di un uomo di piccola statura, che camminava lento e un po' curvo portando sotto il braccio i suoi giornali.

Talvolta, si fermava da Cova (caffè-pasticceria in via Montenapoleone) a bere il caffè.

Federico Bini, nel suo saggio dell'anno scorso,  All'ombra di Enrico Cuccia - Potere e capitalismo nel Novecento italiano, ha descritto il laico Cuccia, allievo del laico socialista e visionario Mattioli, custode dell'eredità culturale di Piero Sraffa e Antonio Gramsci, interprete ideale della "proficua e straordinaria stagione del liberalismo degasperiano" che mirava alla crescita del Paese "senza mai dimenticare le battaglie sociali in sostegno degli ultimi e dei più bisognosi", preferendo lo sviluppo graduale, moderato e produttore di lavoro e progressi tangibili alle alchimie finanziarie.

In effetti, anche la piccola eredità che ha lasciato Enrico Cuccia alla sua famiglia, lo conferma: un solo conto corrente con circa 150.000 euro e l'unica proprietà immobiliare dei Cuccia, proveniente dai beni della moglie Idea S. Beneduce per un totale di circa un milione di euro.

Spiccioli per le nuove schiere di mezze seghe, bancari e banchieri che si prendono gli stessi soldi, ogni anno e, talvolta moltiplicati per enne volte come se li avessero guadagnati davvero, mentre, in verità, infinocchiano i clienti e devastano i bilanci delle loro stesse imprese con gestioni scellerate.

Cuccia non ha vissuto e non ha lavorato per accumulare soldi.

Affascinante anche il ruolo della sua eterna segretaria, Giancarla Vollaro.

Raccontava Montanelli, «Si suole dire che Mediobanca sta tutta in Enrico Cuccia, e si dice il vero.

Ma è altrettanto vero «che dietro questa grande incombente figura se ne muoveva un’altra, quella discreta e lieve come un’ombra di Giancarla Vollaro, vissuta in silenzio trentadue anni accanto all’uomo più silenzioso del mondo.»

Più che segretaria (che, come dice la parola, significa depositaria di segreti, e tal­volta di gravi e delicati segreti), Giancarla era qualcosa di molto di più: come segretaria di Cuccia era uno scrigno inviolabile, più sicura di una cassaforte, una collaboratrice meravigliosa che si muoveva tra migliaia di miliardi con indifferenza fredda e impassibile, perdendone la memoria nell’istante in cui lasciava le stanze del santuario milanese dell’alta finanza, e se ne tornava a casa a piedi o in bicicletta.

Giorgio La Malfa, uomo costruito con "impasto" simile, nel 2014, con Feltrinelli, pubblicò il saggio Cuccia e il segreto di Mediobanca.

L'abstract che segue introduce alla lettura del libro:

“Enrico Cuccia è stato certamente uno dei maggiori protagonisti della vita economica italiana della seconda metà del Novecento”: inizia così il ritratto che ne fa Giorgio La Malfa, il quale ha avuto modo di lavorare con lui a Mediobanca e di conoscerlo da vicino.

Quando si parla di Cuccia non si può però non parlare anche della sua creatura, Mediobanca appunto, un istituto di credito specializzato nei finanziamenti a medio termine nato nel 1946 dalle tre Banche di interesse nazionale (Banca Commerciale Italiana, Credito Italiano e Banco di Roma), di cui egli fu direttore generale sin dal principio e dove rimase fino agli anni novanta con la carica di presidente onorario.

Ma per capire il pensiero e la personalità di Cuccia occorre risalire a prima, come fa La Malfa, agli anni di formazione, ai suoi soggiorni all’estero, a Parigi e Londra, alle esperienze fatte all’Iri e alla Comit.

Del periodo di Mediobanca vengono poi qui presi in considerazione alcuni episodi e momenti salienti, quali sono stati lo scontro con l’Iri di Romano Prodi riguardo alla privatizzazione della banca, l’affaire Sindona con le minacce rivolte contro Cuccia e Giorgio Ambrosoli, il rapporto ambivalente con Raffaele Mattioli.

Si evidenziano così le idee fondamentali e i principi su cui Cuccia ha via via costruito il lavoro di Mediobanca, come la distinzione tra banche di investimento e banche commerciali, l’importanza del credito industriale, la necessità dell’indipendenza dell’istituto, il valore del “nocciolo duro” degli azionisti delle imprese.

Nonostante l’estrema riservatezza del personaggio, che La Malfa rispetta, ne esce un’immagine a tutto tondo di Cuccia e del suo operato: una figura tanto autorevole e potente nel sistema economico e finanziario, non solo italiano, da rendere problematica un’eredità.

Del resto, lo stesso Cuccia diceva: “Se è caduto l’Impero romano, perché non dovrebbe cadere Mediobanca?”.