2025 come il 2018? Segnali di Déjà Vu

2025 come il 2018?    Segnali di Déjà Vu

Milano, 18 marzo 2025. A cura del Team di Gestione Pharus

Negli ultimi giorni, i mercati finanziari si sono caratterizzati per un clima di crescente incertezza, ed un sentiment in netto deterioramento. Le tensioni geopolitiche e i timori sulla tenuta dell'economia statunitense hanno contribuito ad aumentare il premio al rischio sui mercati. 

Quasi tutti gli indici azionari hanno registrato cali settimanali compresi tra l`1% e il 2%, i tassi decennali americani sono stabili o in leggera discesa e quelli europei in salita con gli indici di volatilità sui massimi di periodo.
L'indice MSCI World, misurato in euro, ha subito una flessione intorno al 10% rispetto ai massimi di febbraio, rientrando così nella definizione tecnica di correzione di mercato.
Tuttavia, i drawdown di questa entità rientrano nelle normali fluttuazioni storiche e accadono statisticamente una volta all’anno.
Una componente chiave di questa discesa è stata la rivalutazione dell'euro, che si è apprezzato di circa il 5,5% rispetto al dollaro.
Questo ha impattato negativamente la performance delle azioni statunitensi, e delle big tech in particolare che rappresentano una fetta importante degli indici globali.
Non c'è da stupirsi che l'oro continui a essere uno degli asset con le migliori performance in questo momento. 
Sui mercati sembra di vivere una situazione di vertigine dove tutto sembra girare, con L'epicentro di tutta questa vertigine che continua a essere la Casa Bianca e le continue dichiarazioni di Trump in particolare sul tema dei dazi.
Parlando fuori dalla Casa Bianca, dove stava testando la sua nuovissima auto Tesla con Elon Musk, Trump ha definito il mercato azionario "un'economia finta".
Questo dopo aver detto domenica, che non si può guardare sempre al solo mercato azionario.
Sembra essere stata messa per ora da parte la così detta Trump PUT, e sempre più economisti stanno così aumentando le loro probabilità di una recessione americana, ad esempio gli economisti di JP Morgan hanno aumentato le loro probabilità al 40%. 
Tra i dati macro uno degli eventi più attesi della settimana è stata la pubblicazione del CPI ovvero dell'inflazione americana di febbraio. Il dato ha sorpreso al ribasso, con un'inflazione headline al 2,8% e una core al 2,9%, il valore più basso dal 2021. 
Anche il PPI ovvero l’inflazione misurata dal lato dei costi alla produzione è risultata inferiore alle attese uscendo invariata su base annua, al di sotto dell'aumento dello 0,3% previsto dagli economisti.
Da una lettura più attenta si evince che i componenti di entrambi gli indicatori che alimentano il PCE (ovvero la misura di inflazione preferita dalla FED) erano in realtà un po' più elevati quindi la lettura ha rafforzato la visione del mercato secondo cui la Fed manterrà i tassi invariati la prossima settimana e ha condiviso il commento secondo cui il prossimo taglio dei tassi non avverrà probabilmente prima della seconda metà del 2025, data l’incertezza e la volatilità economica.

Inoltre il Tesoro ha riferito che il deficit di bilancio degli Stati Uniti per i primi cinque mesi dell'anno fiscale 2025 ha raggiunto un record di $ 1.15 trilioni su cui gli investitori iniziano a interrogarsi su possibili ripercussioni a lungo termine. 

Il 2025 si sta rivelando un anno complesso, ma i mercati hanno affrontato situazioni simili in passato.

Il nuovo mandato di Donald Trump è infatti iniziato sotto il segno di una politica economica che potrebbe sembrare un ritorno al passato rispetto al suo precedente mandato con ancora una volta, le tariffe al centro della scena.

Proprio come nel suo primo mandato, le tariffe imposte su una vasta gamma di prodotti sono il cuore della strategia economica, affiancate da un programma di licenziamenti di efficientamento nel settore pubblico con l’obiettivo dichiarato da Trump che è quello ridurre il deficit fiscale e il debito pubblico degli Stati Uniti, un messaggio che manca da anni e che, in molti, speravano di rivedere.

Ma Partiamo da uno sguardo al passato.
Durante il suo precedente mandato presidenziale (2017-2021), Trump ha implementato diverse manovre tariffarie, principalmente come parte della sua politica commerciale "America First", con l’obiettivo di proteggere l’industria americana dalla concorrenza estera.
Le principali manovre tariffarie sono state le Tariffe su acciaio e alluminio del 2018, la Guerra commerciale con la Cina nel 2018-2020, le Tariffe sulle automobili nel 2019 e l’uscita dall'accordo di partenariato transpacifico.

Ma al di là degli interventi sulle tariffe le analogie tra il 2018 e il 2025 si trovano principalmente nelle valutazioni del mercato americano.

Nel 2018, infatti, il multiplo PE (prezzo utili) dell’S&P 500 si trovava a 19 sui massimi almeno degli ultimi 10 anni, un segnale di un mercato che sembrava riflettere una fiducia incrollabile nelle prospettive economiche.

Tuttavia, l'incertezza politica generata dalla politica commerciale di Trump e le sue manovre tariffarie hanno contribuito a creare una volatilità significativa, portando a forti oscillazioni sui mercati anche del + o – 20% arrivando a portare le valutazioni al livello di 14 volte gli utili, ovvero la sua media valutativa di lungo periodo. 

Allo stesso modo, anche a fine 2024 le valutazioni si trovano sui massimi degli ultimi 10 anni con il rapporto PE al di sopra delle 22 volte. Nonostante una situazione globale che presenta alcune differenze, il contesto di incertezze politiche ed economiche, unite a valutazioni ancora alte, sta alimentando dinamiche simili di fluttuazione e instabilità già viste nel 2018.
Non pensiamo e non abbiamo gli elementi per dire se il 2025 sarà come il 2018, ma la storia è sempre una risorsa preziosa, ed il comportamento dei mercati sempre molto simile in quanto guidato dalle emozioni umane.
Quello che ci insegna la storia è che l'incertezza non piace ai mercati, e questo assunto è ancora più vero soprattutto quando le valutazioni sono elevate.
Più le valutazioni salgono più si scontano scenari ottimisti fino ad arrivare al punto di attendersi uno scenario pressoché perfetto che non lascia spazio al minimo margine di errore.
È così che appena queste aspettative vengono disattese o semplicemente quando subentra incertezza le valutazioni si riportano verso la loro media ed i mercati correggono.

La storia non è mai uguale ma tende a far rima e quindi la ricetta per affrontare questo periodo di turbolenza risiede in pazienza e razionalità, ovvero le due virtù principali dell’investitore intelligente.

Se da un lato le valutazioni elevate e le tensioni geopolitiche impongono prudenza, dall'altro gli investitori di lungo periodo sanno che la volatilità fa parte del gioco.

Dal 1927, il mercato ha subito correzioni del 5% tra le 3 e 4 volte l’anno e drawdown del 10% ogni anno.

I mercati ribassisti, definiti da cali superiori al 20%, si verificano statisticamente ogni 3 anni e mezzo, tuttavia, nel lungo termine, l'azionario ha offerto un rendimento medio annuo dell'11%, sottolineando l'importanza di una visione di lungo periodo e di razionalità.